Sai cosa rischi se compri vestiti, li indossi e poi fai il reso?

Giorgia Dumitrascu

27 Aprile 2025 - 12:50

Reso di abbigliamento online: se il vestito è usato, il rimborso può essere ridotto o negato. Ecco cosa sapere (e cosa dicono le norme).

Sai cosa rischi se compri vestiti, li indossi e poi fai il reso?

Comprare vestiti online, indossarli e poi restituirli - il cosiddetto wardrobing - è una pratica sempre più diffusa e rischiosa. Secondo la National Retail Federation, il 10% dei resi nella moda è legato a usi impropri dei capi. Anche in Italia il problema è sentito: la giurisprudenza ha riconosciuto che superare i limiti della «prova funzionale» può portare a responsabilità penali. Il Tribunale di Milano (sent. n. 984/2017) ha qualificato come truffa contrattuale il reso fraudolento di un bene usato, sottolineando l’importanza dell’elemento doloso nel comportamento del consumatore.

Chi pensa di aggirare le regole sfruttando il diritto di recesso deve sapere che la normativa non è assoluta. L’art. 59 del Codice del Consumo esclude il recesso per alcuni beni: prodotti su misura, articoli personalizzati o merci che rischiano un rapido deterioramento. Anche se l’abbigliamento standard rientra normalmente tra i beni restituibili, i consumatori che alterano lo stato del capo o ne fanno un uso scorretto rischiano non solo il rimborso parziale, ma anche una vera e propria denuncia per truffa.

È legale comprare vestiti online, usarli e poi restituirli?

Non è legale usare un vestito acquistato online e poi restituirlo come nuovo: il diritto di recesso consente solo una prova limitata per verificare natura, caratteristiche e funzionamento del bene. Qualsiasi uso che superi tale soglia comporta responsabilità per la diminuzione di valore, come previsto dall’art. 57, co. 2 del Codice del Consumo.
Il diritto di recesso disciplinato dal Codice del Consumo – D.lgs. n. 206/2005 – consente infatti di restituire il bene acquistato senza dover fornire alcuna motivazione, purché l’uso del prodotto si limiti a quanto necessario «per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dello stesso».

Questo significa che il vestito può essere semplicemente provato, in modo analogo a quanto avverrebbe all’interno di un camerino di un negozio fisico, per verificarne taglia, tessuto etc. Se il capo viene effettivamente indossato per finalità diverse dalla semplice prova - ad esempio per una serata, un evento o anche solo per diverse ore - si supera il limite della “prova funzionale” e si incorre in responsabilità.

Se uso un vestito prima di restituirlo, perdo il diritto al rimborso?

Se il vestito viene usato oltre la semplice prova, il consumatore perde il diritto al rimborso integrale; il venditore può trattenere una somma proporzionata alla diminuzione di valore del bene. Il Codice del Consumo garantisce ai consumatori la possibilità di restituire i beni acquistati a distanza entro 14 giorni, senza necessità di giustificare il recesso. Tuttavia, questo diritto non è assoluto.

Cosa significa «uso necessario per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento del bene»?

Il concetto di “uso necessario” introdotto dal Codice del Consumo si riferisce solo alle attività che un consumatore medio dovrebbe compiere per verificare se il bene è adatto alle proprie esigenze, senza alterarne le condizioni. Nel caso di vestiti, l’uso necessario si traduce in una prova rapida e limitata: verificare la taglia, la vestibilità e il comfort del tessuto, senza rimuovere etichette o alterare in alcun modo il capo.

Un comportamento analogo a quello che si terrebbe all’interno di un negozio, dove il cliente è autorizzato a provare, ma non certo a utilizzare il prodotto.

Prova consentita e uso vero e proprio

E’ consentito, indossare il vestito per alcuni minuti in casa per valutare taglia e comfort ed è opportuno mantenere intatte tutte le etichette e confezione originale. Invece, si configura un uso vero e proprio quando:

  • si indossa il capo per uscire di casa;
  • si usa il vestito per un evento o una cerimonia;
  • si danneggia o altera il capo (ad esempio lavandolo, stirandolo, sporcandolo);
  • si rimuovono etichette, sigilli o accessori originali.

Quando il venditore può trattenere parte del rimborso?

Se il vestito restituito mostra segni evidenti di utilizzo non conforme alla prova consentita, il venditore ha diritto di trattenere una somma proporzionata alla diminuzione del valore del bene.
In pratica, il venditore può erogare solo un rimborso parziale e nei casi più gravi, rifiutare completamente il rimborso se il bene è divenuto invendibile. Ad esempio perché macchiato, danneggiato o privo di etichette.

La riduzione dell’importo rimborsato deve essere motivata e proporzionata al deprezzamento subito dal capo a causa dell’uso improprio da parte del consumatore. Non è quindi una sanzione automatica, ma una tutela a favore del venditore contro comportamenti scorretti. È importante sapere che il venditore può anche chiedere la prova dell’uso non conforme tramite documentazione (foto, video) per motivare la decurtazione del rimborso.

È vero che posso rischiare una denuncia per truffa se faccio il reso dopo aver usato il capo?

, è possibile rischiare una denuncia per truffa se si restituisce un vestito usato simulando che sia nuovo. Infatti, restituire un vestito dopo averlo effettivamente utilizzato e farlo passare come nuovo non è solo una violazione delle condizioni di vendita: in alcuni casi può configurare un vero e proprio reato.

L’art. 640 c.p. stabilisce che commette truffa chi:

“con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno”.

Nel caso dei resi fraudolenti, il comportamento del consumatore integra reato se l’acquirente con consapevolezza usa l’abito vestito, lo restituisce fingendo che il capo sia ancora nuovo o mai usato per poi ottenere un rimborso integrale nonostante abbia alterato lo stato del bene.

Quindi, non basta semplicemente aver utilizzato il vestito: per parlare di reato, è necessario che vi sia una condotta attiva di inganno o raggiro, finalizzata a conseguire un rimborso che altrimenti non sarebbe spettato. La pena edittale prevista per il reato di truffa è la reclusione da 6 mesi a 3 anni e la multa da 51 a 1.032 euro, salvo aggravanti o attenuanti.

Differenza tra uso scorretto e truffa

Restituire un capo usato senza dolo, magari per disattenzione o ignoranza, non integra reato: in questi casi il consumatore risponde soltanto civilmente, con la possibile decurtazione del rimborso.
Diversamente, quando si agisce intenzionalmente con l’obiettivo di ingannare il venditore per ottenere un rimborso indebito, si configura il reato di truffa.

La differenza sta nella volontarietà dell’inganno: il dolo è la linea di confine che separa l’irregolarità contrattuale dalla responsabilità penale.

Esempi pratici: restituzione di vestiti rovinati o palesemente usati

Per chiarire ulteriormente, ecco alcuni esempi di condotte che possono integrare truffa:

  • restituzione di un abito con tracce evidenti di utilizzo (macchie, odori, segni di usura) senza dichiararlo al venditore;
  • restituzione di un capo dopo averlo modificato (ad esempio, accorciato o adattato) cercando comunque di ottenere il rimborso pieno;
  • rimozione delle etichette e successiva restituzione simulando l’acquisto come non utilizzato.

Il negoziante può chiedermi un risarcimento danni se restituisco un vestito usato?

Sì, il venditore può chiedere il risarcimento danni se il vestito restituito presenta segni di uso non consentito: il consumatore è responsabile della diminuzione di valore del bene.

Quando si esercita il diritto di recesso per un per un acquisto online, il consumatore è tenuto a restituire il bene integro, salvo il normale deterioramento conseguente alla prova consentita. Se il vestito viene restituito con segni evidenti di utilizzo non autorizzato - come macchie, odori, rotture o usura - il venditore non solo può ridurre il rimborso, ma può anche agire per ottenere il risarcimento dei danni subiti.

Responsabilità civile per il danno al bene

La responsabilità civile del consumatore si fonda sul principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. e, più specificamente, sull’art. 57, co. 2, Cod. Cons. Quest’ultima disposizione stabilisce che:

“in caso di diminuzione del valore del bene dovuta a una manipolazione non necessaria per verificarne la natura, le caratteristiche e il funzionamento, il consumatore è tenuto a risponderne.”

Il danno può consistere nella necessità di:

  • rivendere il capo a prezzo ribassato come “usato” o “seconda scelta”;
  • sostenere costi di ripristino o di pulizia professionale;
  • eliminare completamente il capo dal commercio se non più idoneo alla vendita.
    In tali casi, la responsabilità civile del consumatore è pienamente configurabile.

Azione di risarcimento e possibili conseguenze pratiche

Oltre a trattenere una parte del rimborso a titolo di compensazione, il venditore ha facoltà di promuovere un’azione civile per il risarcimento del danno ulteriore subito. Questa azione può essere esercitata, in via stragiudiziale, con una richiesta formale di pagamento. Altresì, in via giudiziale, mediante citazione dinanzi al giudice competente, qualora il consumatore non riconosca spontaneamente il debito.

L’importo del risarcimento sarà commisurato:

  • alla diminuzione effettiva del valore del bene;
  • ai costi sostenuti per eventuali interventi di ripristino o smaltimento;
  • al danno ulteriore, come la perdita di opportunità commerciali.

Dal punto di vista pratico, il venditore, per sostenere la propria richiesta risarcitoria, dovrà fornire adeguata documentazione: foto che dimostrino l’alterazione del capo, perizie che attestino il danno subito, oppure preventivi relativi ai costi di ripristino. In caso di accertamento della responsabilità, il consumatore potrebbe essere condannato anche al pagamento delle spese legali.

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