Francesco Oggiano ci spiega come funzionano i social e soprattutto come funzioniamo noi, persone comuni, quando siamo nel loro mondo.
In questa intervista abbiamo discusso con Francesco Oggiano del suo nuovo libro “Sociability”. Francesco è un giornalista freelance, classe 1984. Collabora con Vanity Fair, Il Fatto Quotidiano, Rolling Stone, Rivista Studio, Wired, The Vision, GQ e Will. Il libro di Francesco va a investigare alcune questioni non trascurabili come la rabbia sempre più diffusa online e “l’attivismo performativo”. Francesco ci racconta che tramite questo libro voleva condividere degli strumenti di approfondimento per quelli che non sono “addetti ai lavori”.
Puntualizza che il libro nasce soprattutto dalla consapevolezza che esiste una “censura dal basso”. Ci spiega come da sempre abbiamo avuto la “censura dall’alto”: ad esempio un politico che ti chiede di mettere le sue dichiarazioni in un articolo o il capo che ti chiede di dire una determinata cosa anche se non sei d’accordo. Francesco ci spiega come adesso sia nata anche la cosiddetta “censura dal basso”, ovvero noi persone comuni abbiamo paura che le nostre considerazioni pubblicate online non siano conformi alla “polemica del giorno” e temiamo di dover subire una “shitstorm”. L’algoritmo predilige sempre più spesso contenuti che suscitano indignazione, da qui nascono le “fuck news” di cui Francesco parla nel libro. Ci spiega che sono notizie incomplete, tolgono dettagli o il contesto.
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Estrapolano solo la parte che suscita indignazione. Francesco ci racconta di come vari studi sociologici abbiano dimostrato che “l’emozione regina” che si trasmette con maggiore facilità, sia la rabbia. Dunque è facile comprendere il successo di alcuni contenuti costruiti ad hoc per indignare, molti su questa rabbia capitalizzano consenso, è il caso degli attivisti performativi. Francesco sottolinea che esistono vari tipi di solidarietà, internet ha portato alla “solidarietà di identità”: io ti mostro la mia solidarietà semplicemente portando la mia storia, il “mio io di internet". Francesco ci racconta di come alcuni abbiano scoperto che essere solidali e mostrare le proprie virtù, porti guadagno. E quindi ecco che l’indignazione è capitalizzabile.
“Ci sono delle persone che per professione sono arrabbiate” spiega Francesco. Diverse persone online si definiscono “attiviste” anche se di base non fanno nessuna attività o si proclamano “impegnate” anche se non si capisce bene in cosa. L’attivismo ha sempre presupposto che alla sua base vi fosse un’attività, oggi invece molti fanno attivismo con i like e le condivisioni. Francesco invita a essere attenti e analizzare bene il profilo di chi abbiamo di fronte, vi è una differenza tra i “creators” e gli “attivisti”. I creators fanno post e creano contenuti, gli attivisti scendono in piazza e lottano per qualcosa.
“Performattivismo” è la crasi tra performance e attivismo, ossia una persona che mostrandosi impegnata, pur senza rischiare nulla, vuole solo veicolare il suo brand personale per capitalizzarlo. Francesco ci spiega che la domanda da porsi in queste situazioni è solo una: questa persona sta rischiando qualcosa? Se la risposta è no, allora probabilmente la persona che abbiamo di fronte a noi non è un attivista.
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