Il sistema dell’università italiana è corrotto. A dirlo sono le diverse inchieste su truffe, scambi di favore e nepotismo. Cosa sappiamo sui 191 docenti indagati.
Proseguono le indagini nelle università italiane che ha scoperchiato il sistema dei patti, delle commissioni controllate, dei candidati favoriti od ostacolati. Il sistema marcio alla base del reclutamento dei professori - alcuni con meno credibilità di studenti e dottorandi in fatto di produzione accademica - è venuto a galla a partire dalle indagini sull’Università di Catania.
Ai nove indagati iniziali si sono aggiunti rapidamente molti nomi, da Nord a Sud, senza risparmiare università e atenei importanti. In totale sono 191 i docenti e i rettori indagati, in uno schema piramidale che ha visto in prima linea proprio le cariche più alte dell’organizzazione universitaria.
Non stupisce che parte dei commenti sulle indagini nelle università si spostino sulla delusione dei giovani, quelli che negli ultimi anni stanno abbandonando l’istruzione di alto livello. È un segnale, scrive Repubblica, che il sistema deve cambiare. A rimetterci sarà solamente il Paese che non avrà nuove generazioni adeguatamente formate o nelle giuste posizioni, per via di scambi e favori.
Università accusate di corruzione: l’indagine colpisce 191 docenti
Il numero di persone coinvolte nelle indagini del sistema universitario non è piccolo: 191 i docenti indagati, compresi diversi rettori che dall’alto gestivano i favori da prendere e dare. Emerge un sistema universitario profondamente marcio, che affonda le radici in sistemi di élite, famigliari e nobiliari del tutto anacronistici.
Negli ultimi anni, a partire dall’indagine nell’Università di Catania tre anni fa, ricercatori a tempo indeterminato e precari, professori associati e ordinari, direttori di dipartimento, prorettori e rettori sono stati indagati per truffa, abuso e persino associazione a delinquere. In particolare quest’ultima accusa si riferisce ai diversi bandi di concorso pubblici pilotati o guasti. Non mancava neanche l’uso in maniera impropria delle carte di credito pubbliche, utilizzate per acquisti personali senza neanche tentare di nascondere i movimenti.
A Reggio Calabria, per esempio, il rettore Santo Marcello Zimbone ha barattato un dottorato con la promozione dei figli a scuola. Insomma, il quadro è desolante, ma soprattutto era spavaldo. Non a caso sono state le testimonianze di chi veniva rifiutato per dei ruoli a far scattare le indagini, come quando nel 2017, all’Università di Firenze, un ricercatore inglese, Philip Laroma, si era visto bocciato non perché non idoneo, ma perché non rientrava nel “patto del mutuando”.
Dall’alto al basso, come funziona il sistema corrotto delle università indagate
Nel mirino delle indagini ci sono finiti tutti, dai rettori ai ricercatori. Ci sono anche diversi volti noti, come quello di Massimo Galli, che spingeva per far fare carriera a determinati allievi all’interno dell’Università di Milano. Il sistema aveva quindi fondamenta piuttosto solide e le spalle parate dai rettori coinvolti.
Allo stato attuale, sono stati rinviati a giudizio gli ultimi rettori dell’Università di Catania, altri due dell’Università di Reggio Calabria, l’ex rettrice dell’Università della Basilicata e i rettori di Firenze, della Stranieri di Perugia - già coinvolta nello scandalo della cittadinanza a Suarez -, della Statale di Milano, e del San Raffaele di Milano.
La logica alla base del sistema era quella dello scambio di favori, soprattutto nelle università più locali, come quella di Catania. L’ex rettore Francesco Basile ha commentato che «alla fine qua siamo tutti parenti, d’altronde l’università nasce su una base cittadina abbastanza ristretta, una specie di élite culturale della città». Davanti a questa realtà, è evidente per molti che ci sia una correlazione con il calo della fiducia di studenti e futuri studenti. Un segnale che il mondo accademico deve saper cogliere per ripulirsi e rivoluzionarsi.
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