Il 19 giugno l’Italia entra nella gabbia della “Troika”: perché Meloni non ne parla?

Alessandro Cipolla

20/05/2024

La lettera della procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia arriverà il 19 giugno: nel silenzio della premier Meloni nei prossimi sette anni deciderà Bruxelles la nostra politica economica.

Il 19 giugno l’Italia entra nella gabbia della “Troika”: perché Meloni non ne parla?

Per Giorgia Meloni un “cambiamento in Europa è possibile” come ribadito dal palco della convention di Vox, dove è tornata sui temi a lei cari come il no alle teorie gender e alla maternità surrogata, ponendosi poi in difesa della famiglia.

In precedenza la premier Meloni non è voluta mancare all’arrivo di Chico Forti in Italia - condannato all’ergastolo negli Stati Uniti per l’omicidio di un ragazzo - con tanto di foto e sorrisi a Pratica di Mare.

Fino alle ore 23:00 del 9 giugno, momento in cui si chiuderanno le urne delle elezioni europee, per Giorgia Meloni l’imperativo sembrerebbe essere soltanto uno: parlare di tutto tranne che del ritorno del Patto di Stabilità e della conseguente lettera in arrivo da Bruxelles.

Per non interferire con la campagna elettorale la Commissione infatti ha rinviato le comunicazioni ai Paesi che non hanno rispettato i parametri del Patto di Stabilità, con l’Italia che sarà tra gli Stati membri interessati come ammesso anche dal ministro Giancarlo Giorgettiè scontato”.

Il prossimo 19 giugno così sarà ufficialmente aperta la procedura di infrazione per deficit eccessivo nei confronti dell’Italia, anche se le raccomandazioni formali dovrebbero arrivare soltanto in autunno.

Le tempistiche però non andranno a cambiare quello che sarà il destino dell’Italia: per i prossimi sette anni sarà Bruxelles sostanzialmente a decidere la nostra politica economica, alla faccia del sovranismo tanto caro a Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

Procedura di infrazione: il conto per l’Italia

Dallo scorso primo gennaio nell’Unione europea è tornato in vigore il Patto di Stabilità in precedenza sospeso causa Covid; il ritorno però è avvenuto con una versione riformata dell’accordo definito da Giorgetti al momento del varo come “un compromesso, un passo in avanti rispetto alle regole di bilancio che sarebbero entrate in vigore a partire dal prossimo anno”.

Per chi non lo sapesse il nuovo Patto di Stabilità prevede che i Paesi con un debito eccessivo saranno tenuti a ridurlo in media dell’1% all’anno se il loro debito è superiore al 90% del Pil, e dello 0,5% all’anno in media se è tra il 60% e il 90%. Se il disavanzo di un Paese è superiore al 3% del PIL, dovrebbe essere ridotto durante i periodi di crescita per raggiungere l’1,5% e creare una riserva di spesa per periodo con condizioni economiche difficili.

Per l’Italia che non ha rispettato i due parametri questo significa dover scegliere tra un piano di riduzione del debito di 4 anni o uno di 7 anni: nel primo caso stando ai calcoli del Ces il taglio annuale alla spesa pubblica sarebbe di 25,4 miliardi, nel secondo invece la sforbiciata sarebbe da 13,5 miliardi.

Con ogni probabilità l’Italia opterà per il taglio di 13,5 miliardi l’anno per i prossimi sette anni, per una sorta di “Troika” che non solo vigilerà sull’operato del nuovo governo, ma presenterà una “ traiettoria di riferimento per l’andamento della spesa netta agli Stati membri in cui il debito pubblico supera il 60% del prodotto interno lordo (Pil) o in cui il disavanzo pubblico supera il 3% del Pil” come nel nostro caso.

Perché Meloni non parla di questa catastrofe

Sarà così Bruxelles a “decidere quanti soldi andranno alla sanità, all’istruzione, alla transizione ecologica, mentre un occhio di riguardo nei conteggi sarà riservato per tutti gli investimenti che riguardano il bilancio della Difesa e le spese militari” come ha scritto il Manifesto.

Nella prossima legge di Bilancio inoltre ci sarà anche la grana delle misure in scadenza a fine anno - come il taglio al cuneo fiscale e il primo abbozzo di riforma fiscale - e che sono da rifinanziare.

In totale sono 18 miliardi che il governo non potrà più racimolare ricorrendo al debito, con La Stampa che ha parlato di “un buco da 15-16 miliardi di euro nei conti pubblici italiani da riempire con la prossima manovra”.

Giusto per capire quanto sia in salita la strada, nei giorni scorsi il governo ha venduto azioni di Eni pari al 2,8% del capitale della società incassando 1,4 miliardi di euro, meno di un decimo rispetto a quello che sarebbe il buco di bilancio.

Tagli draconiani alla spesa pubblica, stipendi più bassi e con ogni probabilità tasse più alte, in uno scenario del genere appare chiaro perché Giorgia Meloni preferisca parlare di teoria gender invece che del Patto di Stabilità o dell’imminente procedura di infrazione per l’Italia, tanto la lettera arriverà dieci giorni dopo le elezioni europee.

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