4 conseguenze economiche della guerra tra Iran e Israele

Violetta Silvestri

6 Agosto 2024 - 16:30

Una guerra tra Iran e Israele è tornata di stretta attualità. Cosa potrebbe accadere all’economia globale in caso di conflitto? 4 possibili conseguenze.

4 conseguenze economiche della guerra tra Iran e Israele

Una potenziale guerra tra Israele e Iran avrebbe un immediato impatto economico globale.

Un conflitto aperto tra le due potenze è ormai una concreta possibilità con l’aggravarsi della crisi in Medio Oriente in questo inizio infuocato di agosto. Israele infatti si prepara a un attacco da parte dell’Iran, che ha giurato di vendicarsi per l’uccisione del 31 luglio a Teheran del capo politico di Hamas.

L’Hezbollah libanese, intanto, ha preso di mira basi militari a circa 20 km da Israele in un attacco con droni che ha anche ferito civili, alcuni gravemente. Il gruppo deve ancora reagire per l’uccisione di uno dei suoi comandanti militari di alto rango in un attacco israeliano a Beirut la scorsa settimana.

Infine, solo per elencare gli ultimi tragici eventi successi nel già drammatico contesto della foroce guerra israeliana a Gaza, diversi militari statunitensi sono rimasti feriti in un presunto attacco missilistico avvenuto lunedì contro le forze statunitensi e della coalizione presso la base aerea di Al-Asad in Iraq.

Il clima è molto teso. La guerra in Medio Oriente può davvero espandersi, con Israele e Iran su fronti opposti e in aperto conflitto. Quale sarebbe l’impatto economico e finanziario in tot punti?

1. Balzo del prezzo del petrolio

La prima reazione di una guerra allargata in Medio Oriente, con l’intervento diretto dell’Iran potrebbe essere quella di un’impennata del prezzo del petrolio.

L’oro nero al momento non ha registrato scosse degne di nota dinanzi alla sola minaccia di un conflitto così pericoloso. I trader sono in attesa di eventuali prossime mosse. Tuttavia, ipotizzare un impatto sul mercato petrolifero è appropriato.

Occorre infatti ricordare che l’Iran, anche se non è più l’attore principale nella fornitura di petrolio che era in passato, soprattutto per i Paesi occidentali, gioca ancora un suo ruolo nel settore. E potrebbe rompere gli equilibri di domanda/offerta.

Teheran è un produttore e membro dell’OPEC, ma esporta la maggior parte del suo greggio in Cina a causa delle sanzioni internazionali. Tuttavia, una riduzione delle esportazioni di petrolio iraniano avrebbe un impatto “massiccio” sul mercato globale, poiché Pechino sarebbe costretto a competere con altri Paesi per le forniture. E i prezzi aumenterebbero con minore materia prima, ma stessa domanda.

L’Iran esporta fino a 1,5 milioni di barili al giorno di greggio, equivalenti all’1,5% della fornitura globale di petrolio. Il Paese ha prodotto un totale di 3,25 milioni di barili al giorno di greggio a marzo 2024, secondo i dati IEA.

Episodi drammatici possono far schizzare il prezzo del petrolio anche a 300 dollari al barile in un attimo, aveva ipotizzato il professore esperto di energia Nicolazzi su Ispi (in occasione degli attacchi iraniani con droni su Israele ad aprile).

L’attuale situazione è molto simile. Anche se, aveva ricordato il professore, non sarebbe così conveniente per l’Iran perdere vendite di petrolio in Cina, diminuendo quindi l’export in segno di ritorsione contro gli Usa.

2. Rotte commerciali nel caos

Una guerra tra Iran e Israele, con il coinvolgimento potenziale anche di Iraq e Libano, avrebbe ripercussioni commerciali su rotte cruciali, quelle del Golfo Persico.

Innanzitutto, potrebbe crescere la tensione sullo Stretto di Hormuz, una stretta via d’acqua alla foce del Golfo Persico. Questa è una delle principali rotte di navigazione che gestisce quasi il 30% del commercio mondiale di petrolio, attentamente monitorata per segnali di interruzione.

Un’escalation del conflitto tra Iran e Israele ha sollevato nuove preoccupazioni. L’Iran ha ripetutamente preso di mira le navi mercantili che attraversano il punto di strozzatura nel corso degli anni e ha minacciato di bloccare il transito in passato. Il 13 aprile, prima di lanciare un massiccio assalto missilistico e con droni contro Israele, l’Iran aveva per esempio affermato di aver sequestrato una nave portacontainer legata a Israele vicino allo stretto.

“Interruzioni o blocchi del traffico nello Stretto di Hormuz cambierebbero le carte in tavola”. Secondo un’osservazione di qualche mese fa di Richard Bronze, co-fondatore e analista della società di dati Energy Aspects, “questa è la via principale o unica per gli esportatori di petrolio mediorientali, inclusi i membri dell’OPEC Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti”. Le conseguenze ci sarebbero.

Le conseguenze ci sarebbero. Queste potrebbe essere mitigate dagli esportatori che utilizzano rotte più lunghe, ma il danno ai prezzi del petrolio potrebbe essere significativo e duraturo. Non ci sono molte rotte alternative dai principali siti di produzione ai Paesi occidentali.

Non solo, il sostegno iraniano ai militanti Houthi in Yemen, che ha portato ad attacchi alle navi mercantili alla fine dell’anno scorso, ha ridotto il traffico marittimo nel Canale di Suez di circa il 50%, secondo il Fondo Monetario Internazionale. Uno scenario di guerra potrebbe alimentare questo strumento di ritorsione. Strozzature alle vie commerciali si traducono sempre in prezzi più alti di merci e materie prime.

Occorre considerare, infatti, anche l’eventuale innalzamento dei costi di nolo, assicurativi e per affrontare viaggi più lunghi da parte dei portacontainer che devono scegliere nuove rotte.

3. Inflazione in rialzo

Con un effetto a catena, prezzi di beni e materie prime in rialzo vanno a incidere sull’inflazione. Proprio quando le banche centrali hanno iniziato a ridurre gli alti tassi di interesse e dare ossigeno alle imprese e alle famiglie, lo scenario potrebbe cambiare.

Il contesto non è dei migliori se si considera che lunedì 5 agosto le Borse mondiali sono crollate sui timori di una recessione Usa, mentre la Fed temporeggia sull’abbassamento del costo del denaro. Una ipotetica impennata dei prezzi bloccherebbe la politica accomodante delle banche centrali? L’interrogativo resta, con la conseguenza di un’economia indebolita da prezzi alti e prestiti onerosi.

4. Terremoto nei mercati

Una guerra tra potenze come Iran e Israele, in un contesto geopolitico cruciale quale il Medio Oriente renderebbe i mercati più incerti e fragili.

Oro, dollaro Usa, franco svizzero, yen, obbligazioni sono solitamente asset che beneficiano di guadagni in quanto asset rifugio in periodi drammatici come quelli dominati da conflitti.

Un crollo delle azioni sarebbe un segnale negativo per l’espansione economica e un generale freno agli investimenti poiché dominerebbe la sfiducia.

In compenso, potrebbe salire il dollaro Usa come valuta rifugio e rendere l’euro più debole. Le importazioni energetiche - e non solo - sarebbero quindi più costose per l’Europa.

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