Esistono 5 rischi di recessione economica mondiale. Dagli Stati Uniti alla Cina, passando per Hong Kong, Egitto ed Argentina, la paura di un declino dell’economia è reale. Scopriamo quali sono i rischi.
La recessione economica è davvero vicina? Ci sono segnali provenienti da diverse parti del mondo - strategiche e con alto potenziale di contagio - che non lasciano presagire buone prospettive per la crescita globale.
Dopo la crisi dei mutui subprime negli Stati Uniti, che ha costretto le banche di tutto il mondo a smettere di concedere oggi l’arrivo di un’altra ondata di recessione globale non è infondato.
Il rallentamento economico negli Stati Uniti e nelle maggiori economie di Europa e Asia, infatti, appare evidente. Quale futuro dobbiamo aspettarci?
Ecco i 5 rischi concreti di una recessioni economica globale.
Primo rischio: il rallentamento economico USA
“Quando l’America starnutisce, il mondo prende un raffreddore". Interpretando le parole del proverbio, le prospettive non sono buone. L’economia statunitense, infatti, non registra trend rassicuranti. Il primo rischio è proprio legato alla possibile recessione USA, che trascinerebbe molte altre economie.
Da aprile a giugno di quest’anno, gli investimenti delle imprese statunitensi sono diminuiti dell’1% rispetto allo stesso trimestre del 2018. Inoltre, la fiducia e le aspettative dei consumatori per le prospettive a breve termine sono fortemente calate.
Dati più specifici sull’andamento economico degli Stati Uniti, inoltre, hanno indicato che la produzione ha raggiunto i livelli più bassi da 10 anni. Anche i profitti aziendali stanno andando incontro ad un rallentamento. L’indice S&P500 nel suo complesso ha registrato un calo degli utili sia nel primo che nel secondo trimestre del 2019.
La Fed prevede che quest’anno la crescita, misurata nel prodotto interno lordo (PIL) degli Stati Uniti, raggiungerà il 2,2%, ben al di sotto dell’obiettivo del 3% dell’amministrazione Trump.
Dinanzi alle turbolenze interne ed internazionali, quali impeachment, campagna elettorale per Presidenziali 2020,guerra commerciale con la Cina, tensione con l’Iran, la Casa Bianca può sperare di raggiungere il suo obiettivo di crescita economica solo puntando sulla spinta dei consumatori. Una speranza flebile, dinanzi ad un rallentamento generale dell’economia. Sarà recessione?
Secondo rischio: l’esplosivo debito della Cina
La Cina ha alimentato la sua economia a discapito del debito, ad oggi diventato esplosivo. L’Institute of International Finance (IIF), con sede a Washington, ha stimato che nel primo trimestre del 2019, l’ammontare totale del debito delle imprese, delle famiglie e del governo in Cina ha toccato il 303% del PIL. L’agenzia di rating Moody’s ha confermato che il debito della Cina si è assestato al livello A1 nel luglio di quest’anno.
Negli ultimi dieci anni, la Cina ha rappresentato circa un terzo della crescita globale. Un brusco calo della sua economia suonerebbe immediatamente come un allarme in altre parti del mondo e gli investitori correrebbero subito a proteggere i loro beni.
Il debito cinese rappresenta un problema serio, ma è improbabile che si trasformi in un duro declino o in una crisi bancaria. La preoccupazione principale della Cina, infatti, è il suo debito societario, che è costantemente aumentato dalla crisi finanziaria globale del 2008. Per il resto, la maggior parte dei prestiti sono stati contratti da imprese statali da banche statali.
Tenere d’occhio l’andamento del debito cinese, però, è fondamentale nell’ottica di una recessione economica globale.
Terzo rischio: le proteste di Hong Kong
Le proteste di Hong Kong, ad oggi culminate in altri episodi di grave violenza, possono lasciare segni importanti per l’andamento economico globale. E rappresentare, quindi, un rischio di recessione.
Hong Kong è un centro essenziale per l’attività finanziaria ed il commercio. La città, infatti, ha cpontrollato 437 miliardi di dollari in transazioni in valuta estera nel 2016. È anche un’enorme punto di riferimento per le esportazioni, con la consegna di merci in tutto il mondo dal suo porto.
Hong Kong rappresenta, inoltre, il passaggio degli affari dell’economia cinese, con le banche che incanalano capitali da investitori internazionali. I continui disordini civili potrebbero, quindi, influenzare le economie di tutto il mondo, provocando il blocco degli investimenti o l’interruzione del commercio.
Se la Cina dovesse decidere di attuare una politica di forza, il futuro dell’accordo «un paese, due sistemi» in vigore dal 1997 potrebbe essere messo in discussione. Ciò potrebbe trascinare gli Stati Uniti nella lotta, visto che gli USA hanno affermato di voler trattare Hong Kong in netta separazione dalla Cina continentale per quanto riguarda la politica commerciale ed economica.
Quarto rischio: il contagio dall’Argentina
L’Argentina, che si prepara alle elezioni presidenziali il 27 ottobre 2019, è di nuovo sull’orlo della bancarotta.
Quando ad agosto Maurice Macri ha perso le primarie, il mercato azionario argentino è crollato di oltre il 30%. Secondo un confronto di dati, è stato il più grande calo dell’indice azionario di qualsiasi Paese dal 1950. Il peso ha perso il 15% del suo valore rispetto al dollaro USA, con un cambio che è collassato. Di conseguenza, i prestiti in dollari saranno più costosi.
Il Paese ha un debito di 80 miliardi di dollari, con molte probabilità di essere incapace ad adempiere verso gli investitori per la terza volta in meno di 20 anni.
Le elezioni di fine ottobre saranno molto importanti per tracciare un quadro prospettico dell’economia argentina. Il debito, però, è visto in espansione e questo può rappresentare un rischio per la recessione globale. Un effetto spillover in altri Paesi, infatti, non è affatto escluso.
Quinto rischio: la caduta di al Sisi, il dittatore preferito da Trump
Il mese scorso in Egitto si sono svolte diverse manifestazioni contro il governo di Abdel Fattah al-Sisi.
Le proteste hanno avuto un effetto diretto sull’Indice egiziano EGX 30, causando un crollo dell’11% del valore azionario e spazzando via tutti i guadagni accumulati nel 2019.
L’analista Farouk Soussa di Goldman Sachs ha dichiarato in una nota di settembre che l’impatto negativo sul mercato azionario egiziano potrebbe essere ancora più sostenuto se l’instabilità politica dovesse continuare. E questo innanzitutto per gli Stati Uniti.
Le cifre del Dipartimento di Stato rivelano che gli investimenti diretti statunitensi in Egitto sono stati di 21,8 miliardi di dollari e, almeno apparentemente, le relazioni tra i due Paesi sono recentemente migliorate. Si dice che il presidente Donald Trump abbia chiesto: «Dov’è il mio dittatore preferito?» in attesa di incontrare al Sisi al vertice del G7 di agosto.
L’Egitto ha anche rafforzato i legami con la vicina Arabia Saudita. Qualsiasi tentativo di rimuovere il Presidente egiziano porterebbe probabilmente ad un aumento della tensione, almeno a breve termine, tra Riyad e Il Cairo. Con conseguenze sul mercato del petrolio.
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