Per i paesi dell’America Latina, dati macroeconomici poco esaltanti per il 2016.
L’economia dell’America Latina, nel 2016, crescerà solo dello 0,6%. A confermarlo gli analisti di FocusEconomics. Così, dopo un 2015 in cui l’area in esame ha sperimentato – per la prima volta dall’inizio della crisi economica mondiale del 2008 – una contrazione dello 0,2%, non si intravedono segnali molto positivi nemmeno per l’anno che sta per iniziare. Infatti, stando ai dati diffusi dalla Commissione economica per l’America Latina e i Caraibi (CEPAL) – che in precedenza aveva stimato per il 2015 una crescita del PIL dell’area del 2,2%, per poi registrare una contrazione dello 0,2% –, nel 2016 si dovrebbe assistere ad una flebile progressione dello 0,2%.
Non aiuta, in tal senso, lo scenario internazionale e lo stato in cui versano le economie latinoamericane. Nemmeno il fatto che l’economia dei vicini Stati Uniti stia crescendo – cosa che dovrebbe avere un effetto da traino per il Messico, il Centro America e i Caraibi –, e che la Cina (loro principale partner commerciale) stia frenando, sembra possa ridare dinamismo alla crescita economica dell’America Latina.
Nello specifico, nel 2016, il CEPAL prevede che il prezzo del petrolio si manterrà basso con le conseguenti ripercussioni per le economie del Messico, della Colombia, del Venezuela, giusto per citare alcuni paesi. Migliora lievemente la situazione dei produttori agricoli, per fortuna del Brasile e dell’Argentina. L’aumento dei tassi di interesse negli Stati Uniti, anche se in misura moderata, genera pressioni per quanto concerne le materie prime e, allo stesso tempo, incoraggia la fuga di capitali dall’America Latina, con conseguenti svalutazioni delle valute e il loro impatto sull’inflazione. A tutto ciò si aggiungono le crisi economiche che stanno attraversando l’Argentina, il Brasile e il Venezuela. Questi ultimi due paesi alle prese, rispettivamente, con una crisi politica che sta alimentando quella economica.
Economia dell’America Latina: dati e previsioni
Restando in Brasile, secondo i dati diffusi dal CEPAL, l’economia del paese si è contratta del 3,5% nel 2015, mentre si stima un ulteriore calo del 2% nel 2016. Secondo le stime pessimistiche di JP Morgan, il PIL dovrebbe subire una flessione del 3,7%. Più ottimistica BBVA, secondo cui la contrazione dovrebbe aggirarsi intorno allo 0,5%. L’economia messicana, invece, crescerà del 2,5% nel 2015 e circa dello stesso valore nel 2016, secondo il CEPAL. Santander spinge le sue previsione fino al 3,5%, mentre Bank of America Merrill Lynch prevede un +2,5%.
Per quanto riguarda l’Argentina, CEPAL stima che il paese concluderà il 2015 con un aumento del 2%. Tuttavia, secondo quanto riportato da FocusEconomics, gli esperti avvertono che il PIL non ufficiale – cioè senza la manipolazione statistica effettuata da Kirchner –, registrerà un progresso del solo 0,8%. In merito al 2016 – nel primo anno di mandato del nuovo presidente argentino, Mauricio Macri –, l’agenzia delle Nazioni Unite prevede una crescita economica inferiore dello 0,8%, mentre JP Morgan stima un calo dello 0,5% e Nomura, invece, una espansione dell’1,2%.
Infine, per quanto concerne le altre previsioni del CEPAL per il 2016: il Cile dovrebbe evidenziare una crescita del 2,1%; Colombia del 3%; lieve accelerazione del 3,4% per il Perù; mentre il Venezuela dovrebbe sprofondare del 7%. Infine, soltanto le piccole economie (come la Bolivia, Cuba, Guatemala, Nicaragua, Panama e Repubblica Dominicana) dovrebbero registrare una crescita oltre il 4%.
Aumenta la sfiducia dei mercati finanziari per i paesi latinoamericani
A causa del sopradescritto scenario, la sfiducia dei mercati finanziari riguardo alle economie di alcuni paesi, come Brasile e Venezuela, è aumentata. E, di conseguenza, è aumentato anche il premio per il rischio dei loro titoli di Stato. A differenza dei paesi europei – in cui il rischio è misurato dallo spread tra i titoli decennali tedeschi e quelli della nazione a confronto –, nei paesi dell’America Latina il grado di rischio di un paese è misurato dall’indice Embi (Emerging markets bond index). Quest’ultimo è un indicatore posto in essere dalla banca d’affari JP Morgan nel 1993, il quale misura la distanza in centesimi di punto percentuale tra le obbligazioni statunitensi – ritenute le più sicure e solide –, e quelle del paese emergente preso in esame. Così, al crescere dell’indice Embi, aumenta il rischio d’investimento dello Stato emergente.
In particolare, in base all’indicatore Embi, il premio per il rischio del Brasile è di 542 punti base, quello dell’Argentina è pari a 465. I valori peggiori li registrano il Venezuela (2.883 punti base) e l’Ecuador (1.270 punti base). Ciò è dovuto, tra le altre cose, dall’andamento del prezzo del petrolio e dalle incertezze politiche. Da segnalare, altresì, anche l’aumento del rischio della Colombia, che si colloca a 320 punti. Questo rialzo, secondo alcuni esperti, è da imputare alla stagnazione economica che ha inaspettatamente colpito il paese in questione. Infine, il Messico ha evidenziato un aumento del proprio rischio del 26% (231 punti base).
(Fonte: FocusEconomics, El Pais)
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