L’Eurogruppo approva i bilanci 2022 ma con l’invito «ad adottare le misure necessarie al processo di budget nazionale». Tradotto, manovra-bis per ottenere altri fondi Ue. E attenti al governo Scholz
E due. Dopo il rilievo della Commissione Ue all’assenza nella Manovra economica italiana di un impegno strutturale e sostanziale per la riduzione del debito, oggi è arrivato il secondo segnale. Altrettanto ovattato nei toni ma decisamente più serio, quantomeno a livelli di contesto.
Nel garantire luce verde ai bilanci 2022, l’Eurogruppo ha infatti rivolto un’indicazione ai Paesi con alto indebitamento che, pur senza citarla, sembra direttamente riferita al nostro Paese. Nel documento finale concordato viene infatti affermato come gli Stati ad alto debito in cui la crescita della spesa corrente finanziata a livello nazionale non è pianificata per essere sufficientemente limitata siano invitati ad adottare le misure necessarie nell’ambito del processo di bilancio nazionale. Di fatto, la medesima formula utilizzata dalla Commissione Ue.
Ma messa nero su bianco a livello comunitario, quasi un’approvazione con riserva della Manovra che soltanto ora le Camere stanno cominciando a esaminare. E che l’Europa, di fatto, pare aver già bollato come insufficiente. Ovviamente, il governo fa notare come non esista alcun richiamo ufficiale o anche solo ufficioso alla necessità di una manovra correttiva ma quando a Bruxelles cominciano a circolare frasi come la necessità di porsi seriamente il problema della limitazione della spesa corrente come obiettivo preciso nel prosieguo della gestione dei conti pubblici, il passo appare breve.
E, soprattutto, il rischio decisamente cristallino: se per ottenere i primi 25 miliardi del Recovery Plan lo scorso agosto è stato sufficiente presentare la testa d’alce dalla Riforma Cartabia, ora l’esborso della prossima tranche potrebbe essere vincolato proprio a un intervento primaverile del governo italiano per mostrare all’Europa un impegno concreto nella limitazione della spesa e nella riduzione del debito, a sua volta esploso a colpi di scostamenti durante la fase pandemica e mantenuto in traiettoria di sostenibilità solo dagli acquisti della Bce.
Attenzione, quindi, al messaggio che uscirà la prossima settimana dal board della Banca centrale, poiché un eventuale tentennamento sul proseguo del Pepp (con altro nome e forma) dopo il 31 marzo prossimo potrebbe immediatamente essere prezzato dal mercato come l’inizio di un stalking europeo sul percorso dei conti pubblici italiani. A quel punto, il rischio di sell-off sarebbe concreto. E letale, quando - come oggi all’Eurogruppo - nell’aria comincia a spargersi l’odore acre del dubbio. Senza contare la variabile politica: chi ci sarà a Palazzo Chigi a marzo, quando presumibilmente finirà la tregua di Bruxelles nei confronti di un’Italia che non abbia messo mano ai parametri di deficit e debito? Mario Draghi? O qualcun altro, stante il trasloco di Mr. Whatever it takes al Quirinale?
Anche in questo caso, questione tutt’altro che secondaria. Non fosse altro per l’avvertimento già arrivato dal centrodestra: se l’attuale presidente del Consiglio succederà a Sergio Mattarella, si torni subito al voto. Altro elemento che potrebbe far impennare lo spread in modalità 2011. Infine, attenzione anche all’azzardo di dare per scontato un via libera tedesco alla modifica in senso più elastico e meno rigorista del Patto di Stabilità. A Berlino, infatti, si fa notare come Olaf Scholz abbia compiuto un atto a limite dell’eversivo nella composizione del suo governo, all’interno del quale non compare nemmeno un ministro proveniente dalla Baviera. Insomma, il Land più ricco e potente, storicamente primus inter pares in tutti gli esecutivi, viene tagliato fuori. Un po’ come un governo italiano senza nemmeno un esponente lombardo o un veneto.
Mossa di chiara matrice politica interna, quasi un schiaffo in faccia alla potente CSU per ridimensionarne il peso dopo l’addio della Cancelliera e alleata a livello nazionale ma anche un azzardo, appunto. Se a questo atto di lesa maestà seguissero magari la nomina di una colomba come Isabel Schnabel alla guida della Bundesbank e un via libera a un allentamento dei vincoli di bilancio Ue, il governo Scholz potrebbe ritrovarsi in guai molto seri e molto in fretta. I Liberali, infatti, potrebbero uscire dall’esecutivo il mattino seguente.
E nel giorno in cui l’Austria vede insediarsi il suo sesto cancelliere in cinque anni, quasi una nemesi italiana per i falchi viennesi, in molti cominciano a temere per la tenuta post-pandemica di un’Unione post-Merkel che rischia di tramutarsi in un Vietnam di interessi contrapposti. Pronti a esplodere dopo le presidenziali francesi di primavera. Insomma, meglio allacciare le cinture. E mettersi anche il casco.
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