Per gli azionisti delle quattro banche finite in amministrazione straordinaria (Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio della Provincia di Chiesti e Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio) vi è ancora speranza di recuperare i risparmi perduti.
È ormai dal 2013 che la Cassa di Risparmio di Ferrara, la Banca delle Marche, la Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e la Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio sono state poste in amministrazione straordinaria.
Per i possessori delle obbligazioni subordinate, ossia quelle per le quali il rimborso sarebbe dovuto avvenire successivamente al pagamento dei creditori ordinari, è stato previsto, a determinate condizioni, con il d.l. n. 59/16, convertito nella l. n. 119/16, un indennizzo forfettario da parte del Fondo di Solidarietà.
Ben diversamente stanno invece le cose, per chi ha investito i propri risparmi in azioni di quelle quattro banche, magari costretto a farlo, come spesso accaduto, perché, se così non avesse fatto, non gli sarebbe stato concesso un mutuo.
Costoro – si dice – hanno accettato il rischio di impresa e non vi è ragione alcuna per tutelarli. Ma è proprio vero che gli azionisti, al pari degli obbligazionisti subordinati che non versano nella condizione di poter ricevere l’indennizzo contemplato dalla legge, non possono più fare alcunché?
C’è da dubitarne. E valgano al riguardo i seguenti rilievi.
Banche in amministrazione straordinaria: recuperare i risparmi è possibile?
Deve prendersi le mosse dal fatto che con provvedimento del 22 novembre 2015 la Banca d’Italia ha disposto la cessione di tutti i diritti e le passività delle aziende bancarie dei quattro istituti di crediti finiti in amministrazione straordinaria a favore dei c.d. enti ponte, denominati Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara, Nuova Banca delle Marche, Nuova Cassa di Risparmio della Provincia di Chieti e Nuova Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio.
Sono rimaste escluse dalla cessione – così si legge ne provvedimento:
“soltanto le passività diverse dagli strumenti di capitale, come definiti dall’art. 1, lettera ppp), del d.lgs. 16 novembre 2015 n. 180, in essere dalla data di efficacia della cessione, non computabili nei fondi propri, il cui diritto al rimborso del capitale è contrattualmente subordinato al soddisfacimento di tutti i creditori non subordinati del’ente in risoluzione. L’ente ponte succede, senza soluzione di continuità, all’ente in risoluzione nei diritti , nelle attività e nelle passività ceduti ai sensi dell’art. 43, comma 4, del d.lgs. 16 novembre 2015, n. 180”.
In altre parole, dopo che le quattro banche sono state poste in amministrazione straordinaria, che è una procedura concorsuale analoga al fallimento, sono stati costituiti nuovi istituto di credito, c.d. enti ponte, destinati a far sopravvivere le vecchie mediante la vendita di ciò che era rimasto di buono.
A questi enti sono, peraltro, state trasferite, oltre alle attività, anche le passività diverse dalle obbligazioni subordinate, con l’ovvia esclusione delle azioni, che non sono un debito, ma una partecipazione ad una società ormai in default.
Arrivati a questo punto della trattazione, deve però ricordarsi che l’azione è un titolo che si acquista con un negozio, interamente disciplinato dal d.lgs. n. 58/98 (TUF – Testo Unico Finanziario), nonché oggi dal Regolamento Consob Reg. Consob n. 16190/07, attuativo della Direttiva Mifid, e per gli acquisti anteriori dal Reg. Consob n. 11522/98.
Delle diverse norme del TUF la prima da prendere in considerazione è l’art. 23, ai sensi del quale:
“I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento, escluso il servizio di cui all’articolo 1, comma 5, lettera f), e, se previsto, i contratti relativi alla prestazione dei servizi accessori sono redatti per iscritto e un esemplare è consegnato ai clienti”.
È quello previsto da questa norma il c.d. contratto generale d’investimento, contratto che non va confuso con quello di acquisto di strumenti finanziari e che deve essere sottoscritto dal cliente prima di iniziare ad effettuare operazioni finanziarie, quali l’acquisto di titoli.
Lo stesso è destinato a disciplinare i diritti, gli obblighi e i doveri delle parti. Se non viene stipulato per iscritto, ne discende la sua nullità e, per l’effetto, degli investimenti. Trattasi, peraltro, di nullità relativa, perché può essere fatta valere solo dal cliente, il quale tra l’altro può scegliere quali acquisti colpire e quali no.
Ora nel caso in cui tale contratto manchi, visto che l’operazione di investimento deve ritenersi nulla, non siamo più al cospetto di azioni, ma di un debito originario del vecchio istituto di credito che, sulla base della citata normativa, si è trasferito alla c.d. Good Bank, ossia all’ente ponte, con l’effetto che il risparmiatore potrà agire nei confronti di quest’ultimo per ottenere la restituzione di quanto versato per l’acquisto delle azioni.
Lo stesso deve dirsi nell’ipotesi in cui il c.d. contratto quadro non risulti firmato dal legale rappresentante dell’istituto alienante. Nel qual caso per consolidata giurisprudenza della Cassazione – si è peraltro in attesa di una pronuncia delle Sezioni Unite – il master agreement (altro modo di definire il contratto generale d’investimento) deve ritenersi nullo a norma dell’art. 23 TUF ed allo stesso modo gli acquisti.
Ove non possa farsi valere il difetto di forma, non per questo dovrebbe escludersi la possibilità di far valere i propri diritti contro l’ente ponte o l’eventuale futuro istituto acquirente.
L’inadempimento derivante dalla violazione delle norme del TUF e dell’attuativo Regolamento Consob comportano obbligazioni risarcitorie, ossia veri e propri debiti originari, che si trasferiscono alla Good Bank.
Ma quali possono essere le inosservanze di legge da far valere contro l’ente ponte?
Da non dimenticare, in primo luogo, che la maggior parte delle azioni sono state alienate fuori dai mercati regolamentati. Il che a norma dell’art. 46, comma 2, lett. b) del Reg. Consob n. 16190/07 rendeva necessario il preventivo consenso scritto dell’investitore, preventivo consenso mai richiesto dalla banca.
A conferma del fondamento di una domanda risarcitoria di questo tipo, va ricordato che su un caso analogo si è pronunciato il Tribunale di Roma. La materia era allora regolata dall’art. 8 Reg. Consob n. 11522/98, ma la disciplina non è cambiata. E tale giudice, come successivamente il Tribunale di Nola, ha condannato l’istituto di credito alienante al risarcimento del danno.
Un’altra ragione di accoglimento della domanda risarcitoria può essere costituita dalla mancata consegna del Documento informativo sui rischi dell’investimento, come ancora dal fatto che non sia stato assunto il Profilo di Rischio.
Come noto, in seguito all’approvazione della Direttiva Mifid, il Regolamento Consob n. 11522/98 è stato sostituito con quello n. 16190/2007.
Il primo prevedeva, all’art. 28 la consegna del Documento sui Rischi Generali dell’Investimento. Il nuovo Reg. Consob n. 16190/07 all’art. 27 dispone che al risparmiatore debba essere consegnato il Documento Informativo Generale sui Servizi Finanziari. Tali consegne, nella vendita di azioni di quelle quattro banche, sono mancate. Ed è un ulteriore motivo perché venga pronunciato un provvedimento di condanna al pagamento della somma investita, oltre interessi e rivalutazione legale.
In questo senso si è espresso il Tribunale di Parma, osservando non avrebbe alcuna rilevanza neppure il fatto che l’investitore in un documento abbia dichiarato di averlo ricevuto, non essendovi stata da parte della banca la produzione in giudizio di una copia controfirmata per ricevuta.
Ma molto spesso non vi stata neppure l’assunzione del profilo di rischio in conformità con quanto statuito dalla Direttiva Mifid. Ed è questo un ulteriore motivo per ottenere condanna dell’ente ponte al risarcimento del danno.
Da notare che in casi come questi il termine di prescrizione decorre non dall’acquisto, come in caso di azione di ripetizione derivante da nullità, ma dal verificarsi dell’evento dannoso, vale a dire da quando la banca è stata posta in amministrazione straordinaria.
Va, infine, segnalato che in fattispecie del genere i Tribunali hanno spesso dichiarato la propria incompetenza a favore del Tribunale delle imprese. Ciò sulla base del fatto che l’azionista sarebbe un socio con tutte le conseguenze che ne derivano.
Dopo la proposizione da parte di chi scrive del regolamento di competenza contro una pronuncia di questo tipo da parte del Tribunale di Ferrara, la Corte di Cassazione con ordinanza in data 4 aprile 2017 n. 8738 ha cassato quel Tribunale e rimesso a lui gli atti, dicendo che in casi come questi si applicano le regole generali di competenza, tra le quali quelle del foro del consumatore, secondo cui il consumatore, se vuole, fa causa a casa propria.
Analoghe considerazioni valgono infine per gli obbligazionisti subordinati che non possono accedere al rimborso parziale, come pure per la parte che non viene pagata. Anche per loro valgono, infatti, le norme in materia di intermediazione finanziaria. Inoltre la presentazione della domanda d’indennizzo non preclude, per il residuo, eventuali azioni legali.
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