Banche centrali: ecco perché non possono fallire

Christian Dalenz

13/05/2016

Uno studio di economisti BCE ammette una realtà ormai evidente ma non accettata da tutti: le banche centrali non possono fallire.

Banche centrali: ecco perché non possono fallire

Ha suscitato una certa attenzione una nota a fondo pagina di un recente studio di economisti in servizio presso la BCE riguardante la possibilità di una banca centrale di poter operare nonostante si trovi in una situazione patrimoniale negativa.

Lo studio in questione è Profit distribution and loss coverage rules for central banks, di Bunea et al. (2016).

La frase che ha provocato clamore si trova a p.14, nota 7:

«Le banche centrali sono protette dall’insolvenza a causa della loro capacità di creare moneta e possono perciò operare con patrimonio negativo.»

Inoltre, già nel sommario all’inizio del documento gli economisti spiegano che:

“Il profitto ottenuto dalle banche centrali, diversamente da quello delle compagnie private e delle banche commerciali, non è un indicatore di riuscita della politica monetaria o di efficienza operazionale.”

Il resto del paper, sulla base di un sondaggio svolto su 57 banche centrali del mondo (incluse quelle di Stati Uniti, Regno Unito e Italia) non fa altro che delineare possibili regole su come i profitti fatti dalle banche centrali (per mezzo della loro attività di prestito alle banche private) possono essere redistribuiti ai loro azionisti.

Fin qui arriva la notizia rilanciata da Bloomberg il 6 aprile. Ma la ragione ultima del perché il paper è stato scritto è contenuta nel seguito del sommario:

“Comunque, nel lungo periodo risultati finanziari positive rinforzano la credibilità delle banche centrali e contribuiscono alla loro indipendenza finanziaria…”

La contraddizione su cui lo studio è basato è ora evidente: ci stanno spiegando che una banca centrale non può fallire, e non è tenuta affatto ad operare secondo criteri tipici di una impresa o banca privata; ma allo stesso tempo, se opera secondo criteri di profitto, è più credibile nei confronti di imprese e banche che operano allo stesso modo.
Una conclusione comunque discutibile se pensiamo che lo stesso paper ricorda che operativamente non c’è alcun problema perché le banche centrali operino anche in perdita (semmai sono imprese e banche che devono mostrare credibilità nei loro confronti).

Il paper è utile nel mostrarci come il creatore della moneta, la banca centrale, è condizionato nel suo operare da logiche di mercato, ma allo stesso tempo non è necessariamente obbligato a funzionare in questo modo.

Come molti economisti hanno spiegato, è potenzialmente in grado di finanziare indefinitamente i governi, senza dover operare con profitto ma semplicemente creando moneta. Un governo può quindi evitare di essere soggetto a default alla stregua di un ente privato, e se vediamo in questo modo la situazione, capiamo anche come le politiche di austerità non sono in fondo inevitabili se si tratta di evitare una teorica bancarotta del governo.

Mi sento dunque di poter chiudere il botta e risposta che ebbi con Stefano Feltri del Fatto Quotidiano (lo si può trovare tra i primi commenti all’articolo) allorquando lui, in risposta ad un mio commento dove segnalavo quanto sopra, mi scrisse che non sapevo di cosa stavo parlando perché gli Stati sono obbligati a rifinanziare la BCE qualora subisca perdite; è vero per statuto della BCE stessa, ma questa non è altro che una convenzione e non una condizione tecnicamente necessaria.

Un altro elemento interessante di questo paper lo troviamo nella sua quarta sezione: qui si riassume chi sono gli azionisti delle banche centrali intervistate e veniamo a sapere che,“ oggigiorno, il solo o principale azionista di una banca centrale è solitamente il governo, piuttosto che gli azionisti privati” (p.30).

Ci sono poche eccezioni a questa tendenza: la più marcata è quella della banca centrale del Pakistan, completamente posseduta da azionisti privati. Tra le poche banche centrali in cui oltre all’azionista pubblico ce ne sono di private si annovera l’Italia (ma anche gli USA): in Unione Europea hanno caratteristiche simili anche Belgio e Grecia.

Il lettore potrebbe a questo punto ricordare cosa successe a gennaio 2014, quando il Governo Letta rivalutò le quote di Bankitalia in possesso degli azionisti privati (tutti banche private) pur chiedendo di venderle successivamente nella misura in cui superino il 3%; questo ha causato comunque un aumento del patrimonio in possesso di dette banche, che hanno anche visto aumentare la quota di dividendi percepita da questa rivalutazione.

Il Governo chiese alle banche di finanziare in questo modo l’eliminazione dell’IMU; vediamo dunque come si sia trattata in realtà di una partita di giro in cui le banche non hanno perso nulla, e la tassa è stata abolita grazie a profitti maturati da Bankitalia, ma tale operazione poteva anche essere finanziata dalla semplice emissione monetaria da parte della BCE.

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