Banche centrali: l’opportunità di operare con patrimonio netto negativo crea ostacoli nelle manovre restrittive. Indipendenza a rischio.
Possibilità di operare con patrimonio netto negativo per le banche centrali: se non è un limite nel caso di manovre espansive, potrebbe diventarlo in caso di manovre restrittive.
Vediamo perché.
È uscito in questi giorni il documento n° 169 della BCE (aprile 2016) dal titolo “Profit distribution and loss coverage rules for central banks” che ha suscitato fermento, ed anche un certo scalpore, a causa della nota n°7 a pagina 14 che recita testualmente:
“Le banche centrali sono protette contro l’insolvenza a causa della loro capacità di creare denaro e possono perciò operare con patrimonio netto negativo”.
Pertanto, secondo il testo di questa nota, le banche centrali sarebbero protette dall’insolvenza grazie alla loro possibilità di emettere moneta che gli permetterebbe comunque di operare anche qualora avessero un patrimonio netto negativo.
A parte il fatto che non c’è nessuna novità in questo visto che, già nel giugno 2013, Paul De Grauwe lo scriveva sul sito Vox CEPR’s Policy Portal, in un articolo dal titolo “Fiscal implications of the ECB’s bond-buying programme”; mentre in Italia nel marzo 2014 il blog Scenari Economici riportava la traduzione di un documento di Standard&Poor’s, dal titolo “Ripetete dopo di me: le banche non possono e non prestano le loro riserve”, nel quale, in una nota, si affrontava la medesima questione.
Banche centrali: il problema di operare con un patrimonio netto in negativo
Il problema non starebbe tanto nella possibilità di operare con patrimonio netto negativo quando si fanno manovre espansive, bensì, nel caso contrario, cioè quando la banca centrale debba porre in essere manovre restrittive per drenare risorse.
Infatti, se la possibilità di operare con patrimonio netto negativo della banca centrale non è in discussione quando ponga in essere manovre espansive, data la sua possibilità di emettere moneta, il problema sorgerebbe qualora la banca centrale stessa debba invece – per un cambiamento della sua politica monetaria – operare in senso contrario, cioè diminuire le riserve precedentemente create, magari con manovre espansive come le operazioni monetarie non convenzionali.
Infatti, a questo punto, la banca centrale, avendo acquistato attività che, per esempio, si sono deprezzate, si troverebbe a doverle vendere ad un “prezzo” inferiore che non le consentirebbe di drenare la quantità di riserve precedentemente emessa, ed incorrerebbe in perdite che erodono il suo patrimonio netto portandolo in terreno negativo.
Ma andiamo con ordine riportando due stralci del documento di Standard& Poor’s sopra citato:
“Le banche centrali di solito hanno un capitale proprio nel loro bilancio, che viene generalmente fornito dal governo ma a volte comprende conferimenti di capitale effettuati dalle banche commerciali con le quali tratta. Ma il capitale di un banca centrale, pur avendo qualche significato di “economia politica”, ha poca importanza economica, essendo poco più di un saldo residuo.
Ad esempio, se una banca centrale (come la Federal Reserve), ai fini di politica monetaria, decide di vendere le attività che aveva accumulato con gli alleggerimenti quantitativi ed incorre in perdite su tali vendite, come se cancellasse il suo capitale, il risultato sarebbe una voce in bilancio prima positiva che “gira” e diventa negativa.
Ma, salvo che con una possibile eccezione, ciò non avrebbe alcun impatto sulla capacità della banca centrale di adempiere le sue principali funzioni: può ancora emettere moneta; può ancora acquistare attività attraverso la creazione di riserve o creare riserve prestandole alle banche; può ancora determinare una politica sui tassi (tra cui un tasso di interesse sulle riserve)”.
Quindi è palese, anche da questo passaggio, che la capacità di emettere moneta della banca centrale la tiene al riparo dalla possibilità dell’insolvenza anche quando abbia un patrimonio netto negativo. La banca centrale può comunque continuare a prestare, acquistare attività, ecc..
Il problema sorge nel caso estremo riportato dallo stesso documento nel passo successivo:
“L’eccezione è il caso estremo nel quale il valore delle attività che la banca centrale detiene diventa inferiore alla quantità di riserve in eccesso precedentemente creata e che ora vuole e deve estinguere al fine di restringere la politica monetaria.
In altre parole, è ipotizzabile che la banca centrale possa trovarsi senza risorse sufficienti per drenare le riserve in eccesso che aveva creato in precedenza e quindi rischiare di perdere il controllo monetario.
Ma ci sarebbe una facile via d’uscita: il governo potrebbe ricapitalizzare la banca centrale emettendo obbligazioni per farlo, ripristinando il suo capitale (sul lato destro del suo bilancio) e dandogli le attività (sul lato sinistro), che la banca centrale potrebbe quindi utilizzare vendendole ed estinguere le riserve in eccesso.
In alternativa, il governo potrebbe emettere obbligazioni direttamente al pubblico, il che drenerebbe le riserve e aumenterebbe i depositi del governo presso la banca centrale, e quindi convertire i depositi in capitale della banca centrale (un esercizio di contabilità)”.
Cioè, il problema sorgerebbe quando la banca centrale volesse restringere la politica monetaria ma, avendo attività svalutate che hanno perso di valore, si troverebbe con una quantità delle stesse insufficiente a drenare le riserve in eccesso precedentemente create, rischiando, così, di perdere il controllo monetario.
Pertanto, sembra abbastanza palese che il problema per la banca centrale non sarebbe tanto quello di un eventuale limite nel poter far aumentare le sue attività ad libitum, quanto, piuttosto, quello di drenare riserve, con manovre restrittive, vendendo attività che nel frattempo si sono svalutate e che, pertanto, non sarebbero sufficienti per il raggiungimento dei suoi obiettivi, facendole perdere il controllo monetario.
Naturalmente, il documento di Standard&Poor’s segnala anche “una facile via d’uscita” che consisterebbe nell’intervento governativo che si potrebbe esplicitare in due modi come riportato: cioè con l’emissione di obbligazioni che ripristino il capitale e le attività (ricapitalizzazione), oppure emettendo titoli direttamente al pubblico, drenando così riserve ed aumentato i depositi governativi presso la banca centrale e convertendoli, poi, in capitale di quest’ultima.
E qui il discorso diventa anche più interessante, visto che, come si può facilmente notare, la banca centrale che, per esempio, a causa di manovre espansive dissennate, si trovi poi a dover drenare l’eccesso di riserve precedentemente creato, sembrerebbe necessitare dell’intervento governativo.
Indipendenza delle banche centrali a rischio
Ed a questo punto, potrebbe anche sembrare che la banca centrale sia indipendente dal governo fino a quando si tratti di emettere denaro per le sue proprie attività ma, invece, lo sia un po’ meno quando si tratterebbe di drenare riserve in un contesto di forte svalutazione delle sue attività – necessitando a quel punto dell’intervento governativo.
E non potrebbe essere questo il motivo per il quale le banche centrali siano, generalmente, così restie ad avere un patrimonio netto negativo?
Concludendo, è vero che la capacità delle banche centrali di operare con patrimonio netto negativo è fuori discussione, ma qualora un cambiamento nelle politiche monetarie porti alla necessità di restringere i cordoni della borsa invece che allargarli, le attività fortemente svalutate rappresenterebbero un problema che non permetterebbe alla banca centrale di raggiungere i suoi obiettivi con il rischio di perdere il controllo monetario.
Questo richiederebbe l’intervento governativo.
Intervento che poi potrebbe far sembrare la banca centrale “un po’ meno indipendente” e, a tal punto, per es., come farebbe un banchiere centrale ad imporre diktat ai governi (o al governo) che fanno parte del sistema di banche centrali quando sono questi che hanno pagato il conto delle sue dissennate politiche monetarie non convenzionali?
È palese che la “forza politica” della banca centrale sarebbe, in tal caso, fortemente limitata ed erosa. E, come già detto, questo potrebbe essere il motivo per il quale le banche centrali sono comunque restie ad operare con un patrimonio netto negativo.
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