Deutsche Bank e Commerzbank sprofondano dopo che un grande azionista - pare Capital Group - scarica la sua intera quota. Proprio mentre Zelensky chiede all’Ue una data certa per chiudere con Gazprom
Qualcuno potrebbe provare un brividio di Schadenfreude, ripensando alla mossa di Deutsche Bank nel giugno 2011, quei 9 miliardi di controvalore in Btp scaricati sul mercato che accelerarono la crisi del debito italiano e portarono alla lettera Bce e al governo Monti.
Ma chi lo facesse, sbaglierebbe. Perché il fatto che il gigante teutonico e Commerzbank siano precipitate al Dax (rispettivamente -9% e -8%), dopo che un soggetto misterioso ha scaricato azioni per un valore combinato di 1,75 miliardi di euro, non può essere relegato alla mera dinamica del mercato,. C’è del metodo. E una strategia, quantomeno nel timing. E nella fretta. Perché chiunque sia stato a operare quella mossa fra i due grandi players in grado di generare una vendita simile - BlackRock e Capital Group -, lo ha fatto - nel caso di Deutsche Bank - con uno sconto dell’8% rispetto al prezzo di chiusura di ieri. E con il passare delle ore e alla luce dello status di passive investor di BlackRock, la cui quota è legata alla partecipazione di Deutsche in vari indici e non può essere liquidata in un solo colpo, ecco che tutti gli indizi portano in California e al Capital Group, gigante da 2 trilioni di assets-under-management.
E anche Commerzbank ha dovuto subire oltre al danno della vendita anche la beffa dello prezzo di saldo, vedendo i propri titoli liquidati al 6,6% in meno della chiusura precedente. Il tutto a tre mesi dalla rumorosa uscita dall’azionariato delle due banche tedesche da parte di Cerberus Capital Management. Certo, il fatto che entrambe gli istituti siano impegnati in ambiziosi piani di ristrutturazione potrebbe avvalorare la tesi dell’uscita da una losing bet, ovvero una scelta meramente guidata da una logica di profitto. Ma chi entra in colossi simili e conoscendone i bilanci e i programmi, mette in conto la necessità di pazientare. E ingoiare perdite. Soprattutto dopo due anni di pandemia e oggi una guerra e una crisi inflazionistica da anni Ottanta. Certo, altresì ultimamente il mercato ha registrato altri corposi off-load azionari come quelli che hanno interessato E.ON SE, Airbus SE, il London Stock Exchange Group Plc e il gigante minerario Glencore Plc. ma un paio di elementi fanno riflettere. Quantomeno, rispetto al perché proprio ora.
Primo, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, in un collegamento video con il Parlamento lituano, ha chiesto ai Paesi dell’Unione Europea di fissare un termine chiaro, Stato per Stato, entro il quale verranno interrotte le importazioni di gas russo. Inoltre, sempre Zelensky ha chiesto all’Ue di sanzionare tutte le banche e il settore petrolifero russo. Insomma, una forzatura ulteriore. E decisamente irrituale, poiché il presidente di un Paese terzo che richiede un cronoprogramma all’Unione Europea rispetto a una decisione che nemmeno è stata presa e al di fuori di un’assise ufficiale, lascia intravedere profili ricattatori. Soprattutto, quando il suo Paese continua tranquillamente a incassare le transit fees pagate dal nemico Gazprom per il passaggio del gas diretto in Europa in territorio ucraino. Farlo poi dalla Lituania. Paese che lo scorso 3 aprile ha annunciato per primo lo stop alle importazioni di gas russo, definito tossico in un tweet dalla premier Ingrida Simonyte, assume un significato simbolico chiaro.
Secondo, nel giorno in cui l’inflazione statunitense tocca l’8,5% e il presidente Biden archivia l’agenda green autorizzando l’utilizzo emergenziale della benzina E15 (ovvero con etanolo al 15%, dannosa per la qualità dell’aria) per contenere i costi alla pompa, ecco che questo grafico
sembra confermare come la questione energetica potrebbe tramutarsi in breve nell’unico, vero argomento di discussione globale: il cosiddetto risk premium legato alla guerra sta rendendo insostenibili già oggi i costi di noleggio dei cargo per il trasporto di petrolio russo dai porti del Mar Nero, tanto che alcuni sottoscrittori starebbero chiedendo extra-fees pari al 10% del valore dello scafo. Insomma, il costo per assicurare un tanker vecchio di 5 anni e di 50 milioni di valore per il trasporto di un milione di barili di greggio degli Urali ad oggi sconta premi assicurativi pari a 5 milioni di dollari, 1,5 milioni in più del costo del mero noleggio.
Dati pubblicati da Bloomberg mostrano come noleggiare un tanker per compiere la tratta dal porto di Novorossiysk all’Italia normalmente costerebbe 700mila dollari, mentre oggi già viaggia attorno ai 3,5 milioni ai causa dei premium richiesti. Insomma, il possibile bando totale sul petrolio russo unito ai costi ingestibili del suo trasporto rischiano di schiantare l’export verso il fiorente mercato europeo (a tutto vantaggio di quello asiatico e della casse moscovite, comunque in surplus record), mantenere le forniture globali ai livelli di restrizione minima attuale e perpetuare - se non aggravare . le dinamiche dei prezzi per un lasso di tempo decisamente più lungo del previsto e di quanto scadenzato dallo stesso conflitto bellico. In questo contesto, uno dei più grandi fondi Usa invia un segnale chiarissimo al sistema bancario tedesco, Paese che più di ogni altro sta innalzando le barricate contro le sanzioni sul comparto energetico russo. Ovviamente, solo una coincidenza. L’ennesima, però.
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