Dalle regolamentazioni alle crypto-truffe, gli analisti mettono nero su bianco i rischi che potrebbero frenare (ancora) il passo del Bitcoin.
Il primo semestre 2021, per il Bitcoin, si è chiuso con un +19,3% a 35.040 dollari. Numeri che vanno tuttavia letti incrociando un altro dato, ovvero il -44,8% incassato dalla crypto dai massimi storici di aprile. Ad innescare il pullback, come noto, la purga dei miners e lo stop dei servizi in criptovaluta in Cina, dove i vertici del Partito comunista stanno cercando di impedire che la decentralizzazione della blockchain possa andare ad intaccare la sovranità monetaria dello Stato, assicurandosi anche un maggior controllo sulle transazioni in uscita.
Un giro di vite che ha quasi dimezzato la capitalizzazione di mercato del Bitcoin, oggi di nuovo in territorio negativo a 33.685 dollari. Ma i grattacapi, per la crypto-industria, non finiscono qui. Secondo gli analisti le divise digitali dovranno infatti dribblare diversi rischi anche nel secondo semestre dell’anno, pena nuove scivolate verso il fondo. Ecco quali.
1. Le regolamentazioni
In cima, e non poteva essere altrimenti visti i chiari di luna degli ultimi tempi, c’è proprio il capitolo relativo alle regolamentazioni. Abbiamo già parlato della Cina, ad oggi l’unico Stato ad aver chiuso i conti con le criptovalute, ma una stretta viene invocata da tempo anche negli Stati Uniti (Fed e Tesoro), nell’Unione europea (Bce) e in Italia (Consob). Insomma, negli ultimi sei mesi dell’anno potrebbe arrivare un primo assaggio di crypto-normative, poi starà al mercato decidere se leggerle come un atto di deterrenza o come un implicito riconoscimento degli asset da parte dei regolatori.
2. La volatilità
La volatilità, spada di Damocle di Bitcoin&Co., è destinata a restare. L’ampia forbice tra i massimi e i minimi di giornata, settimanali e mensili espone gli investitori ad alti rischi, e secondo gli analisti di UBS è un segno delle attività speculative che si muovono dietro agli asset. Ma questa oscillazione dei prezzi, di per sé, non è una barriera all’adozione istituzionale del Bitcoin, visto che può garantire profitti significativi con investimenti relativamente contenuti.
3. La questione ambientale
Oltre alla stretta regolatoria cinese, un altro fattore che ha sgonfiato il Bitcoin lo scorso maggio è stato il dietrofront di Elon Musk sui pagamenti in criptovaluta per le auto Tesla. Una decisione controversa, con il tycoon che ha puntato il dito soprattutto contro le attività energivore dei miners, così come vengono chiamati tecnicamente gli individui e le società che estraggono i token con computer ad alto potenziale. La questione, per ora, è ancora irrisolta, e gli studi condotti sull’ammontare effettivo di energia utilizzato dalle mining farm sono perlopiù contraddittori. C’è da aspettarsi quindi ulteriori evoluzioni nei mesi che verranno.
4. Lo scrutinio delle stablecoin
A lato, poi, il Bitcoin rischia anche di pagare lo scrutinio al quale la Fed sta sottoponendo le stablecoin, ovvero una particolare tipologia di criptovaluta che, diversamente dal BTC e dalle altre Altcoin, è legata ad una valuta fiat. Secondo il governatore della Fed di Boston, infatti, le stablecoin rappresentano un rischio per la stabilità del sistema finanziario. Sotto la lente c’è soprattutto Tether, ancorata al dollaro USA ed utilizzata spesso dagli investitori per acquistare criptovalute in alternativa al biglietto verde: secondo gli analisti ci sono dei dubbi sulla consistenza delle riserve in dollari dei gestori della stablecoin.
5. I meme coin e le crypto-truffe
Per ultimo, la popolarità del Bitcoin ha portato allo sviluppo e alla messa sul mercato di una valanga di cosiddetti meme coin, ovvero delle criptovalute con dei fondamentali spesso inconsistenti. Che non hanno impedito, si veda il caso del Dogecoin o di Shiba Inu, fiammate improvvise dei prezzi. Il vero problema, però, oltre ai rischi inevitabilmente connessi ad investimenti speculativi, è che il confine tra i meme coin e gli schemi truffaldini rimane piuttosto sottile, visto che le denunce degli investitori si sono moltiplicate nel corso dell’ultimo anno. E se il segmento retail si dovesse davvero bruciare, dalle banche centrali la risposta non potrebbe che essere quella delle regolamentazioni, con potenziali ripercussioni negative sull’intera industria.
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