Una retata della polizia fiscale della Corea del Sud ha messo nei guai 12.000 contribuenti accusati di aver evaso il fisco con delle operazioni in Bitcoin e altre criptovalute. Dopo il mito dell’anonimato cade così anche quello dell’impunità fiscale.
Prima il mito dell’anonimato, caduto nelle scorse settimane sotto i colpi dell’Fbi, in grado di recuperare – arrampicandosi nello storico delle transazioni della blockchain del Bitcoin - il riscatto da 4,4 milioni di dollari in criptovaluta chiesto ed ottenuto dagli hacker dell’oleodotto Colonial Pipeline, e ora quello dell’impunità fiscale, a lungo fiore all’occhiello delle divise digitali, che sembra andare incontro alla stessa sorte dopo la maxi-retata della polizia fiscale della Corea del Sud contro 12.000 contribuenti accusati di aver aggirato il fisco con operazioni in BTC e altre Altcoin.
Bitcoin, in Corea cade il mito dell’impunità fiscale
L’operazione è scattata nelle ultime ore e ha portato al sequestro di criptovalute per un valore di 50 milioni di dollari, bottino sul quale la polizia fiscale coreana è riuscita a mettere le mani ripercorrendo i movimenti degli asset. Nella rete è finito un intero sottobosco di contribuenti infedeli, da un proprietario immobiliare con oltre 1 miliardo in criptovaluta a un medico libero professionista con un crypto-conto da 2,8 miliardi.
Non siamo ancora ai livelli di repressione della Cina, dove lo shutdown delle mining farm (già si parla di esodo dei miners) e il giro di vite della Pboc sulle banche e sugli istituti finanziari che prestano servizi in criptovaluta offuscano il futuro di Bitcoin&Co., e oltretutto l’azione di recupero delle somme sottratte al fisco appare più che legittima e perlopiù slegata dalle logiche che muovono le authority di Pechino.
Tuttavia, il Governo di Seul sembra in una certa misura seguire la scia dell’ingombrante vicino, visto che dal prossimo settembre vigerà l’obbligo per gli investitori coreani di denunciare tutte le posizioni in criptovaluta possedute presso i trader locali. Mossa coerente con la necessità di stringere le maglie attorno ai furbetti, ma che sembra anche ricalcare quella smania di controllo sui movimenti degli asset che ha fatto della Cina il nemico giurato dei bull delle crypto.
La Corea ordina un controllo rafforzato sulle criptovalute
Se non altro perché la notizia di oggi fa il paio con quanto riportato a fine maggio dal network USA Bloomberg, ovvero la decisione di Seul di rafforzare i controlli sulle criptovalute per migliorare la trasparenza degli scambi. Criptovalute che “non possono essere considerate monete o prodotti finanziari”, avevano chiosato le autorità coreane.
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