«Per esistere un giornalismo satirico, devono esistere prima un giornalismo tradizionale e i giornali». Storia e qualche riflessione seria sul mock journalism con il collettivo di Lercio.
Un antico detto napoletano recita che Pulcinella ridendo e scherzando diceva sempre la verità, a voler significare che ironia e risata più o meno amara che genera, alla fine si racconta sempre una verità. Se questa potente arma è vera nella vita di tutti i giorni, lo è diventata ancora di più nel settore della stampa e dell’industria mediatica in generale, dove a suon di notizie strillate anticipate da titoli sensazionalistici e “acchiappa-clic” si misura la capacità di generare curiosità e attrarre gente.
Significa fare giornalismo questo e dare un servizio ai propri lettori e utenti? La domanda è molto capziosa e vivendo noi totalmente immersi nella rete e nella marea di informazioni che ci investono a ogni secondo, molte delle quali di dubbio raziocinio nonché di gusto, verrebbe da rispondere di no. Se è vero, quindi, che dinanzi a certe castronerie, scattano in automatico la risata e forse un po’ meno il legittimo dubbio, non possiamo non ammettere che anche i professionisti più virtuosi necessitano, oggi, di sottostare a delle regole di comunicazione più aggressive che sappiano catalizzare l’attenzione dei più: pena una sopravvivenza che si fa sempre più difficoltosa. Ci siamo, quindi, abituati, assuefatti quasi, a vederci passare davanti agli occhi di tutto e a livellare sempre di più verso il basso il senso critico, tanto che nella migliore delle ipotesi ci limitiamo a domandarci solo se sia vero o falso.
In questo ultimo decennio (quasi) a mettere il carico da undici sul comparto dell’informazione e della comunicazione ha contribuito anche Lercio e il suo collettivo di autori che quotidianamente alimentano il sito e i vari meme sui social con le loro notizie di stampo satirico; talmente ben orchestrate che, a volte (se non spesso) sono prese come veritiere dalla stampa tradizionale, quasi a voler significare che il senso dell’umorismo e dell’analisi hanno perso da tempo ragion di essere.
Il fenomeno del mock journalism (ossia la parodia del giornalismo) non è però nuovo ma ha delle radici antiche e autorevoli antenati; come si sia passati oggi dal mock (scimmia) all’hoax (bufala) journalism attraverso un continuo canard (starnazzare) senza per questo maltrattare nessun animale è una domanda ancora viva e che farebbe rivoltare nella tomba i nostri autorevoli antenati! Di tutto questo ne ha parlato il collettivo di Lercio in Mock’nTroll, edito da People, loro ultimo libro che ci induce a riflettere seriamente sul rapporto che intercorre tra giornalismo e veridicità dall’alba dei tempi. Li abbiamo incontrati durante l’ultima edizione del Web Marketing festival a Rimini, momento in cui ci hanno consegnato la copia del libro e già dalle prime pagine era impossibile staccarsi.
Sì, perché il libro è proprio una bellissima e serissima ricostruzione storica del mock journalism che conta nella propria genealogia nomi autorevoli quale Benjamin Franklin, Mark Twain, Edgar Allan Poe, Dario Fo, Oliviero Beha con la complicità di comici quali Ugo Tognazzi e Raimondo Vianello. Il tutto con l’unico obiettivo di svelare la verità perché attraverso la risata, l’assurdo, l’iperbole, il paradosso si mettono a nudo le contraddizioni e le falsità, ci si scrolla di dosso il superfluo per arrivare all’essenza ed essere in grado di vedere e leggere in modo più chiaro e trasparente quello che accade intorno a noi.
Ridendo siamo educati “ad aprire gli occhi, a esercitare il dubbio, a mettere in discussione le verità che diamo per assolute” leggiamo nella prefazione del libro e se solo la satira ci permettesse tutto questo, sarebbe davvero un bel passo avanti per la nostra intelligenza collettiva.
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