Noto brand italiano di divani in crisi. Cosa succede?

Violetta Silvestri

12 Febbraio 2025 - 12:45

Tra le crisi aziendali che affliggono l’Italia c’è anche quella di un noto brand di divani. L’impresa che ha portato l’arredo italiano nel mondo soffre e mette a rischio centinaia di lavoratori.

Noto brand italiano di divani in crisi. Cosa succede?

La crisi di Natuzzi, gruppo italiano sinonimo di eccellenza nell’arredo design e specializzato in divani, va avanti da decenni senza una definitiva via d’uscita.

Nonostante il noto brand con sede in Puglia stia cercando di rilanciare la produzione con un Piano industriale 2025-2029 che punti all’efficienza, esuberi, cassa integrazione, riduzione dei costi e riassetto produttivo sono parole chiave dall’inequivocabile significato: la storica azienda perde lavoratori e in futuro prevede una razionalizzazione della produzione, con meno impiegati.

D’altronde, i numeri parlano chiaramente: nei primi nove mesi del 2024, 538 dipendenti sono usciti dal Gruppo e solo una parte di essi è stata rimpiazzata con assunzioni strategiche nei settori retail, pubblicità e merchandising.

Tali riduzioni di personale si sono verificate soprattutto negli stabilimenti di Romania, Cina e Italia. Tirando le somme, dal 2021 a settembre 2024 Natuzzi ha ridotto la sua forza lavoro di 1.110 posizioni, per una perdita del 26% di operai.

Se le difficoltà del celebre marchio di divani sono iniziate negli anni 2000 sulla scia della crisi globale, dopo 25 anni circa le crepe non sono state completamente rinsaldate. Complice un contesto internazionale complesso e incerto, con sfide epocali che stanno colpendo il retail anche dell’arredo, Natuzzi sta tentando di rilanciarsi all’insegna di un riassetto non privo di punti oscuri per i lavoratori.

Cosa succede a Natuzzi divani? Il punto sulla crisi

L’ultima novità riguardante le persistenti difficoltà di Natuzzi è datata gennaio 2025: attraverso un’intesa tra Ministero del Lavoro, Natuzzi Spa, OO.SS. Regione Puglia e Regione Basilicata il Contratto di Solidarietà è stato prorogato dal 1° gennaio al 31 Ottobre 2025. L’ammortizzatore sociale riguarderà i siti Natuzzi di Jesce1, Jesce2, La Martella e Laterza e 936 dipendenti tra i circa 1800 complessivi in Italia, si legge nella nota Cobas.

La quale aggiunge che: “l’azienda deve imparare a produrre senza abusare degli ammortizzatori sociali, come di fatto si è verificato negli ultimi decenni.” In sostanza, la crisi Natuzzi fatica a essere completamente superata e il noto marchio di arredo e divani non riesce a riprendere un ritmo produttivo più serrato.

I motivi sono in parte spiegati nella nota ufficiale della società pubblicata con i conti dei primi 9 mesi del 2024: in sintesi, si può affermare che le perdite sono contenute, ma costanti e che le vendite di Natuzzi Italia si sono mostrate inferiori dello 0,9% nel periodo gennaio-settembre 2024 rispetto allo stesso del 2023.

Il quadro emerso è in chiaroscuro. Antonio Achille, Amministratore Delegato del Gruppo, ha commentato i risultati finanziari con parole inequivocabili:

“Le nostre vendite nei primi nove mesi del 2024 sono state in linea con quelle dell’anno precedente, nonostante le difficili condizioni che hanno continuato ad avere un impatto non solo sul settore dell’arredamento ma anche su quello più ampio dei beni durevoli e di consumo. Ciò è stato ottenuto nonostante un terzo trimestre fiacco, nettamente inferiore alla media dell’anno, che ha influito negativamente sulle consegne di agosto e settembre.”

Rispetto alla riduzione della forza lavoro, il piano è altrettanto chiaro: “Questa riduzione fa parte della nostra strategia di transizione di Natuzzi da un’organizzazione basata sui volumi a un’organizzazione basata sul valore. Questo cambiamento richiede una forza lavoro più snella, nuove competenze e un approccio evoluto alle risorse umane e all’organizzazione”, ha aggiunto.

Il gruppo impiega circa 3.500 lavoratori nel mondo, dei quali circa 1.900 sono in Italia e, di questi, 1.800 nelle fabbriche del Meridione. La questione della forza lavoro in esubero e di licenziamenti collettivi è delicata e tema ricorrente da anni nei vertici aziendali. L’auspicata crescita del mercato del 10% che Natuzzi sperava di ottenere non si è palesata, lasciando spazio piuttosto a un calo del mercato. Il quale, ovviamente, si riversa sui lavoratori in perenne rischio di licenziamento o affidamento ad ammortizzatori sociali a tempo.

Natuzzi, una crisi che viene da lontano

La storia di Pasquale Natuzzi - patron dell’azienda pugliese quotata a New York - inizi con una fotografia del 1959, anno in cui il giovane imprenditore apre la prima bottega artigiana di divani a Taranto insieme con tre amici.

Nei decenni a seguire di strada se ne percorre tanta. Il quartier generale rimane in Puglia, a Santeramo in Colle (Bari), nonostante da azienda italiana specializzata nella produzione dei divani in pelle l’impresa diventa un gruppo globale con 12 sedi commerciali e 11 siti produttivi nel mondo (Italia, Cina, Romania e Brasile).

Il successo negli Usa arriva nei primi anni ’80 e culmina con la quotazione al New York Stock Exchange nel maggio 1993, unica azienda non americana del settore arredamento. Poi, dagli anni 2000 inizia un declino che non viene ancora del tutto superato. Tra il 2007 e il 2012 l’azienda accumula perdite intorno a 140 milioni di euro, che nei primi nove mesi del 2013 sono di ulteriori 38,7 milioni rispetto ai 14 milioni di un anno prima.

In una intervista scritta con Reuters circa 10 anni fa, Pasquale Natuzzi legava i problemi a variabili esogene: “L’11 settembre, la crisi dei mutui subprime [negli Usa] e dei debiti sovrani [nella zona euro] hanno, di fatto, vanificato gran parte degli sforzi di rilancio della competitività del gruppo a livello globale”.

Ma l’imprenditore puntava il dito soprattutto contro la concorrenza sleale - non tanto nei mercati emergenti, che esplorava all’epoca aprendo stabilimenti in Cina, Romania e Brasile quanto sul territorio - che lo costrinse a oltre un decennio di cassa integrazione.

Si trattava dei cosiddetti contoterzisti, cioè aziende piccole e piccolissime che producono per un committente e abbattono i costi industriali al punto da rendere l’euro al minuto di Natuzzi difficile da sostenere.

Sono passati molti anni e il quadro economico globale si è complicata. La concorrenza sleale oggi viene soprattutto dall’estero asiatico, esacerbata da dinamiche geopolitiche sempre più minaccioso.

La questione degli esuberi nel Gruppo, intanto, è rimasta irrisolta, con alterne vicende di internazionalizzazione, investimenti, riassetto organizzativo, cassa integrazione. La crisi Natuzzi è uno degli esempi di imprenditorialità italiana in declino.

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