Triboo in una settimana ha ripetutamente aggiornato nuovi minimi storici. E’ un segnale della sfiducia degli investitori? Ecco i possibili perché
Settimana da incubo per Triboo in Borsa. Il clima di tensione che ha coinvolto il mercato italiano in queste ultime sedute ha letteralmente travolto il titolo della società quotata all’AIM Italia che in una manciata di sedute ha perso oltre il 30% del proprio valore di Borsa.
Il prezzo delle azioni Triboo a cavallo fra venerdì 25 maggio ed oggi ha ripetutamente aggiornato nuovi minimi storici, amplificando la parabola ribassista in realtà già in essere sul grafico del titolo da metà 2017. Particolarmente interessante il movimento della seconda metà di maggio, con il titolo che ha chiuso sotto i 2 euro per azione per la prima volta dal 15 febbraio 2016.
Sul ribasso c’è stato inoltre un sensibile incremento dei volumi, saliti improvvisamente sopra i 0,2 milioni di pezzi scambiati (seduta del 31 maggio); non era mai accaduto se non nel corso di 4 sedute nel 2017 e nella seduta campale del 3 dicembre 2017.
Altrettanto significativo il fatto che ieri ed oggi siano state due sedute positive per il mercato italiano (indice FTSE Mib ha chiuso con un rialzo del +1,49%). È un segnale della sfiducia degli investitori?
Sembra in effetti che il mercato non abbia particolarmente gradito le ultime operazioni perfezionate da Triboo in questi ultimi mesi, compreso lo sbarco sul mercato cinese con la società Triboo Shanghai Ltd, che gli investitori non sembrano avere pienamente valorizzato. Dal 27 febbraio, data dell’annuncio, il titolo ha perso il 40% in Borsa.
Anche la fine dell’idillio con Friendz, start up innovativa acquisita dal gruppo nel 2016, non è stata digerita bene dagli investitori, nonostante la corposa plusvalenza ricavata da Triboo sulla cessione delle proprie quote.
Il mancato passaggio su MTA, cosa bolle in pentola?
Un anno fa il presidente del gruppo, Giulio Corno, annunciava in pompa magna sui principali quotidiani nazionali l’imminente passaggio del gruppo sul segmento STAR di Borsa Italiana, quello dedicato alle società con alti requisiti.
In un’intervista pubblicata su Affari&Finanza Corno aveva spiegato che l’ingresso sul mercato principale, l’MTA, era un “passo naturale dopo l’integrazione tra le anime media ed ecommerce”, operazione quest’ultima che era stata perfezionata solamente qualche mese prima. Entro la fine del 2017 dunque gli investitori avrebbero potuto – secondo gli intenti del management - negoziare le azioni Triboo sull’MTA di Borsa Italiana.
Ad oggi è trascorso circa un anno e Triboo quota ancora sull’AIM Italia. La questione passaggio su MTA sembra aver perso di visibilità. Vi è da dire che il mancato passaggio entro la fine del 2018 è stato ritardato a causa di alcune questioni riguardanti la documentazione legale da consegnare a Consob oltre che ai numerosi avvicendamenti che si sono avuti ai vertici dell’azienda nel corso degli anni.
La società ha comunque confermato il procedimento di ammissione delle azioni sul Mercato Telematico Azionario di Borsa Italiana, evidenziando come nei piani del management vi sia il completamento del passaggio entro l’inizio del mese di agosto.
Le burrascose vicende al vertice del gruppo
In effetti la società guidata dalla famiglia Corno negli anni ha sofferto di problemi di vario genere, tutti riconducibili alla governance del gruppo. Nel settore e sul mercato ci fu molto fermento quando nel settembre del 2015 il fondatore della società, Alberto Zilli, decise di lasciare l’azienda per “presunte incomprensioni” con l’allora socio Giulio Corno. Nelle sedute a cavallo dell’addio di Zilli il titolo era arrivato a cedere fino al 27% in sole tre sedute.
Poi nel 2016 l’approdo di Gabriele Mirra, manager di lungo corso, già Chief operating officer in Italiaonline. Il dirigente campano era stato chiamato dal presidente Giulio Corno per perfezionare la delicata operazione di fusione per incorporazione fra Triboo Media, l’anima media del gruppo quotata a Piazza Affari, e la holding di famiglia, la Grother Srl. I rapporti fra Mirra e la società si deteriorarono in fretta tanto che l’Ad lasciò improvvisamente il gruppo dopo nemmeno un anno dal suo arrivo.
Triboo: i conti non tornano
Ad oggi l’azienda capitalizza 42,7 milioni di euro. Meno di 6 mesi fa, il 31 dicembre 2017, la market cap dell’azienda era pari a circa 71 milioni di euro. Il fatto è che, oltre al crollo verticale del prezzo delle azioni in Borsa, la società ha appesantito la propria struttura patrimoniale con un indebitamento pari a circa 14 milioni di euro a fine 2017 che era praticamente la metà nell’esercizio precedente. Al contempo la società ha visto ridursi la liquidità a disposizione, passata dai 10,9 milioni del 2016 ai 6,7 milioni di fine 2017. Come conseguenza di questa dinamica a fine 2017 la posizione finanziaria netta del gruppo è stata negativa per 7,1 milioni di euro, in peggioramento rispetto al valore positivo di 4,1 milioni di inizio anno.
Forse anche per questo è particolarmente interessante notare il rallentamento dell’attività di M&A. Triboo tipicamente è sempre stata una società molto attiva sul mercato delle acquisizioni, anzi, quella di andare a scovare realtà imprenditoriali e start up innovative nel campo digital è da sempre stata una delle peculiarità di Triboo e uno dei fiori all’occhiello della famiglia Corno.
Ecco spiegato perché il gruppo dal momento del suo debutto in Borsa, l’11 marzo 2014, non ha quasi mai (salvo i due-tre mesi successivi alla quotazione) superato il suo valore di IPO fissato al momento del collocamento a 4 euro per azione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA