La Banca Centrale del Brasile lascia invariata l’inflazione al 14,25%. Ancora in discesa il real, che potrebbe non riprendersi anche se aumentassero i tassi d’interesse.
Per il quarto meeting consecutivo la Banca Centrale del Brasile non modifica i tassi d’interesse, con un’inflazione che rimane a quota 14,25%, il livello più alto degli ultimi nove anni. Colti di sorpresi gli analisti che avevano stimato un rialzo del Selic di 50 punti base, fino al 14,75%. L’euro si apprezza sul real brasiliano portando il rapporto tra le due valute a quota 4.5232, mentre il cambio USD/BRL si attesta sul 4,1574, con il real che tocca il livello più debole da fine settembre scorso. Infatti, dopo il record assoluto di 4,24 raggiunto in autunno, la moneta brasiliana era risalita fino ad un cambio a 3,7 a fine novembre, per poi scendere nuovamente fino alla quota attuale, dimostrando che l’USD/BRL non dà grossi segni di allontanamento da quota 4. Complessivamente, va ricordato, nel 2015 il real è arrivato a perdere un terzo del suo valore.
Voto in ogni caso non unanime nella banca : 2 membri su 8 avevano votato un rialzo dei tassi. In effetti la situazione economica del Brasile è critica ed il margine di manovra è ridotto. Nonostante la recessione i corso, l’inflazione da novembre viaggia ormai su due cifre, alimentata in parte da una moneta debole che rende le importazioni più costose. L’economia nel 2015 si è contratta di circa il 4% e le prospettive future non sono rosee: il FMI ha tagliato del 2,5 % le stime di crescita per il 2016. Il debito è al 70% del PIL e gli analisti della Barclays prevedono che continuerà a crescere, raggiungendo il 93% del PIL nel 2019. Anche se questo non sembra un dato sconcertante a chi è abituato a leggere del debito dei paesi sviluppati - 197% in Grecia, 246% in Giappone, 132% in Italia - il Brasile è tra le economie emergenti più indebitate.
Di conseguenza gli investitori, qualora la banca centrale dovesse optare per un rialzo dei tassi, potrebbero ritenerlo un indice di maggiore probabiltà di default sul debito pubblico, che diventerebbe per lo stato più costoso. Basti pensare che lo scorso anno lo Stato brasiliano ha speso quasi l’8% del PIL per ripagarne gli interessi e che anche se questo è detenuto in larga parte in moneta locale, il che rende meno probabile il default, il governo non ha molti strumenti a disposizione per mettere ordine nei conti pubblici. L’economia è in recessione nonostante il basso real che dovrebbe favorire le esportazioni, la pressione fiscale già “consuma” il 36% del PIL e il gettito complessivo è diminuito a causa della crisi. Se l’aspettativa di default si realizzasse, gli investitori potrebbero non acquistare real, invece di sfruttare i rendimenti offerti, e questo farebbe aumentare l’inflazione, invece di diminuirla verso il target del governo, fissato al 4,5%.
Il problema, in Brasile, è politico oltre che economico: il governo ha perso credibilità dopo essere stato travolto dallo scandalo delle tangenti Petrobras, dalla quale i partiti che fanno parte della coalizione di governo hanno ricevuto tangenti e finanziamenti illeciti e con le quali il Partito dei lavoratori, che governa il paese dal 2003, ha finanziato le proprie campagne elettorali. Il rischio è quindi che gli effetti di una politica monetaria restrittiva possano essere oscurati dai timori che il governo non sia in grado di onorare i suoi debiti. Inoltre, ci sono da considerare la volatilità del mercato globale e l’avversione al rischio che probabilmente terrà lontani gli investitori dalle valute dei mercati emergenti per un po’. Difficile quindi prevedere un aumento di valore del real nel breve periodo, anche se la Banca Centrale dovesse decidere di aumentare i tassi.
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