Ecco come il ritorno dei BOC (Buoni Ordinari Comunali) possono aiutare i Comuni nel trovare capitali per finanziare investimenti pubblici.
Tanto tempo è passato dalla scomparsa dal mercato dei BOC (Buoni Ordinari Comunali), eppure varrebbe la pena provare a riportarli in vita per ridare ossigeno alle traballanti finanze degli enti locali, stretti ora più che mai nella morsa della crisi finanziaria che ne blocca le attività.
Ricapitoliamone le caratteristiche per capire i limiti dei BOC - che hanno giustificato il loro insuccesso in passato - per cercare di trovare soluzioni per eliminarli in vista di un futuro utilizzo.
Cosa sono i Buoni locali
I Buoni locali (BOR per le Regioni, BOC per i Comuni) sono stati istituiti dalla legge 23/12/94 n.724 (art. 35), che prevede la possibilità per gli enti locali di emettere speciali titoli di debito “vincolati” al finanziamento d’investimenti in specifici progetti esecutivi.
Caratteristiche dei titoli sono:
- durata minima 5 anni;
- interesse non superiore di un punto rispetto a quello di un analogo titolo corrispondente titolo statale;
- tassazione agevolata al 12,50% (come i titoli di Stato);
- rimborso graduale per quote annuali;
- convertibilità in azioni di società costituite dagli enti emittenti per la costruzione e gestione dei beni pubblici programmati;
- quotazione di diritto sul mercato finanziario.
Come i BOC possono salvare le finanze dei Comuni
Come potrebbero questi strumenti aiutare Regioni e Comuni nel trovare capitali per finanziare investimenti pubblici?
Sicuramente potrebbero attirare risparmio locale di investitori interessati ad ottenere non solo un buon rendimento dal proprio capitale, ma anche a beneficiare degli effetti positivi dell’investimento, usufruendo di beni d’interesse collettivo. Si pensi ad un BOC per costruire un collegamento ferroviario o un impianto sciistico o una scuola o un teatro.
I titoli convertibili offrirebbero l’opportunità di trasformare, alla scadenza delle varie rate annuali, il credito in capitale azionario, partecipando così alla gestione della società che realizza l’investimento. Una forma di “azionariato partecipativo cosciente” finora mancante nel panorama italiano ma presente all’estero.
Per invogliare la conversione (e quindi ridurre l’ammontare dell’esborso finale alla scadenza del BOC) si possono predisporre agevolazioni particolari che stimolino la conversione (ad esempio abbonamento gratuito per i soci per lo sfruttamento dell’infrastruttura, deduzione fiscale del controvalore dell’acquisto delle azioni, ecc.).
Un altro effetto è la sollecitazione di un “senso civico” fra i residenti di un comune, chiamati a creare la “loro” opera con i loro risparmi, facendo circolare il capitale all’interno del comune.
Un ulteriore vantaggio è la realizzazione di una “indipendenza finanziaria” del comune, che non deve elemosinare i fondi agli Enti territoriali superiori (Regione o Stato), ma può dotarsi di opere importanti per la collettività facendo leva sul “patriottismo” dei cittadini.
Le vulnerabilità dei BOC (e come evitarle)
Gli “antenati” dei BOC hanno avuto un avvio abbastanza rapido, con decine di emissioni, cui è seguita una altrettanto rapida scomparsa dal panorama soprattutto per la scarsissima liquidabilità dei titoli che “non avevano mercato”, portando alla disaffezione.
Un’operazione di ricupero dello strumento dovrebbe quindi essere accompagnata da accordi con istituzioni finanziarie, banche e compagnie di assicurazione che garantiscano l’operatività, ponendosi nel ruolo di “market maker”, offrendo a condizioni ragionevoli l’eventuale riacquisto o il ricollocamento.
E si potrebbe anche consentire ai possessori dei BOC di pagare le imposte locali consegnando i titoli al Comune. Il debito locale si trasformerebbe in capitale, tutti sarebbero felici e contenti, pagando sì le imposte, ma beneficiando nel frattempo d’interessi e decidendo quando e per quale importo avvalersi della facoltà.
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