I programmi di sostegno, percepiti ancora da 9 milioni di cittadini, vedono il laboratorio dell’helicopter money chiudere i battenti. Ma proprio ora, il Pil rallenta e i decessi tornano a crescere..
I casi di accettazione forzata di una realtà distopica hanno ispirato grandi geni visionari. Stanley Kubrick, infatti, scelse questo sottotitolo per quel capolavoro che è Il Dottor Stranamore: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba. E che dire di George Orwell e del suo seminale e fin troppo citato (a sproposito) 1984, le cui ultime righe mostrano plasticamente la fine di un processo di quotidiana erosione della volontà: Ma ogni cosa era a posto, ora, tutto era definitivamente sistemato, la lotta era finita. Egli era riuscito vincitore su se medesimo. Amava il Gran Fratello.
Senza arrivare a queste vette estreme, domani mattina l’America si sveglierà e dovrà fare i conti con una nuova realtà. Nel caso in questione, un bivio: il 6 settembre scadono infatti del tutto i programmi di sostegno pandemico a reddito e disoccupazione. Ironia più o meno della sorte, la data coincide con la festa nazionale del Labor Day negli Usa. Quasi una nemesi. O uno scherzo del destino. Questi grafici mettono la situazione in prospettiva:
da quando - nel marzo 2020 - il Congresso diede via libera all’American Rescue Plan, quasi 14 milioni di cittadini americani sono stati dipendenti in qualche modo da programmi emergenziali.
La prima immagine compara quel numero (linea rossa) con le aperture di nuove posizioni lavorative negli Stati Uniti (linea verde): entrambe sono continuate a salire, ancorché con magnitudo differente. In particolare, la linea rossa torna a crescere dal marzo scorso con la nuova ondata di Covid, la quale pare aver creato un bottom sotto cui difficilmente si potrà scendere. Ecco il problema, la realtà con cui da domani l’America dovrà fare i conti. Come mostra la seconda immagine, al 14 agosto scorso ben 12,9 milioni di statunitensi dipendevano ancora in qualche modo dal welfare. Gli stessi che fra 24 ore si ritroveranno senza più alcuna forma di sostegno, sia federale che statale.
Alcuni Stati, tutti a guida repubblicana, hanno cominciato una sorta di taper già a luglio, spinti dal grido di dolore di piccole e medie imprese che non trovavano lavoratori, a detta loro proprio per la concorrenza sleale posta in essere dalla certezza di un lauto assegno che arriva a casa senza dover lavorare. Domani tutto finirà. Non solo i 300 dollari a settimana di benefit statale per l’occupazione ma anche i due programmi flagship dell’emergenza Covid: la Pandemic Unemployment Assistance, la quale garantisce copertura sia ai lavoratori autonomi che a quelli che non rientrerebbero nei requisiti minimi del welfare state e anche la Pandemic Emergency Unemployment Compensation che estende fino a 24 settimane l’aiuto del governo dopo l’esaurimento dei piani di sostegno basilari.
E se gli americani che ricevono contributi tramite piani regolari sono scesi dal picco di 22 milioni nel maggio 2020 agli attuali 2,8 milioni, quelli che fanno capo a questi ultimi due schemi designati in risposta alla pandemia sono invece ancora oltre 9 milioni. E questo grafico
mostra quale sia arrivato ad essere il contributo dei sussidi in termini percentuali sui redditi di chi li percepiti per oltre un anno. Dove finiranno potere d’acquisto e capacità di spesa adesso, in un Paese dove il Pil dipende ancora al 70% dai consumi?
Da domani, infatti, game over. Forse. O quantomeno, lo shock alle porte potrebbe essere temporalmente limitato. Quasi il canonico e necessario periodo di pausa di un andamento stop-and-go. Come è arrivata e arriva, infatti, l’America all’appuntamento con il 6 settembre? Tagli draconiani delle previsioni sul Pil del terzo trimestre, un tracollo della creazione di nuovi posti di lavoro nel mese di agosto, la cui lettura è stata di un terzo rispetto alle aspettative del consensus e, soprattutto, un aumento inaspettato dei nuovi decessi per Covid.
Stando a quanto riportato ieri dal Washington Post, nell’ultima settimana il numero di morti è stato in media di 1.500 al giorno contro i circa 200 di inizio luglio. Il tutto, mentre il mondo politico e sanitario si agita fra terza dose più o meno obbligatoria e trials già in atto su eventuali booster, addirittura per via orale. Tradotto, già ci si attrezza per un regime di endemia. Cosa potrebbe accadere, infatti? Mentre il Washington Post aggiornava il mondo sul rischio di un’America ancora impreparata a camminare con le proprie gambe, da Hong Kong giungeva la conferma della scoperta dei primi tre casi accertati di contagio da nuova variante, la super-contagiosa Mu esplosa in Colombia e che l’Oms ha già definito di particolare interesse epidemiologico.
Ovviamente, le autorità cinesi si sono affrettate a far sapere che si tratta di casi di importazione: i tre contagiati arrivavano infatti proprio da Colombia e Stati Uniti. E non solo: il timore è che questa ennesima mutazione sia totalmente resistente ai vaccini esistenti. Ring any bells? Ma non basta. E’ infatti passata abbastanza sotto silenzio la notizia delle dimissioni del primo ministro giapponese, Yoshihide Suga, in vista delle elezioni di novembre. In ossequio alla cultura giapponese della responsabilità personale esercitata fino al parossismo, l’ex premier non si ricandiderà, poiché reo di mala gestio della nuova ondata di contagi che sta colpendo il Paese da almeno due mesi. Ma che, in compenso, non ha comportato la cancellazioni o il rinvio dei Giochi Olimpici, i più costosi della storia, come mostra la grafica.
Mettiamo la vicenda in prospettiva: il Giappone ha una popolazione di 126 milioni di abitanti e ha registrato, da inizio pandemia, 16.184 decessi. Il Regno Unito vanta una popolazione di 67 milioni di abitanti e ha dovuto piangere la dipartita per Covid di 133.000 cittadini. stando ai dati ufficiali. Suga si dimette, Johnson pontifica da Downing Street. Qualcosa non torna. O, forse, torna troppo in quello che appare un tragico e ciclico gioco delle parti, inscenato da mesi e mesi con cambi di compagnia recitante ma con sempre il medesimo sfondo di ambientazione.
Quello della pandemia, alternando lockdown a riaperture, emergenze a campagne vaccinali di massa, costrizioni obbligate a certificazioni surrettizie per un ritorno alla normalità. Sociale, lavorativa, economica. Tutto. E qualcosa lascia intendere che la parola fine non stia ancora per scorrere sullo schermo: quando l’articolo di apertura di Bloomberg, questa mattina rispondeva al titolo di Delta surge means this is as good as it gets for global growth, le prospettive appaiono decisamente poco rosee per l’autunno. Ma ottime per chi deve evitare come la peste la fine dei regimi emergenziali, sia monetari che di welfare.
Tornando al Giappone, ad anticipare la dimissioni di Suga e delineare il quadro un po’ ambiguo che contorna la questione Covid nel Sol Levante, ci aveva pensato il giorno precedente la più grande compagnia assicurativa del Paese, Dai-Ichi Life, la quale ha sospeso la vendita del suo prodotto assicurativo legato proprio alla pandemia. La ragione? L’eccessivo aumento dei casi. Brutto segnale. Soprattutto perché si parla di un investimento di massa che costa solo il corrispettivo di 3,5 dollari a trimestre e garantisce un massimale di 1.000 dollari in caso di contagio del sottoscrittore. Quanto è grave, davvero, la situazione in Giappone? E se lo fosse davvero molto, quanta responsabilità andrebbe attribuita alle Olimpiadi? Infine, quanto quelle settimane di gare e premiazioni rischiano di essersi già trasformate silenziosamente in agenti super-spreaders in giro per il mondo?
Forse, i virologi sapranno dare una risposta. Ma come l’America (casualmente) vede l’economia peggiorare e la pandemia rialzare la testa proprio a ridosso del 6 settembre, ecco che in Giappone il membro del board della Bank of Japan, Goushi Kataoka, meglio noto come Turbo-Kuroda per la sua visione da ultra-colomba, apre non solo a un aumento delle politiche di acquisto in seno al Qe ma anche a una discesa ulteriormente in negativo per i tassi di interesse. Stante i recenti sviluppi economici globali e interni, la necessità per passi più audaci sta crescendo, ha dichiarato Kataoka. Come? E’ desiderabile tagliare ulteriormente il tassi in territorio negativo e abbassare quelli a lungo termine attraverso acquisti obbligazionari, ha risposto il 2 agosto alle domande dei giornalisti.
Poco dopo, Yoshihide Suga prese atto di come fosse giunto il momento di staccare la spina. Lui, l’uomo che per tutti aveva rappresentato il possibile Terminator degli anni di espansione continua dell’Abenomics, il grande normalizzatore, getta la spugna. Un altro mondo pare non solo possibile. Ma già qui. Con quali conseguenze, già sul medio termine, appare ogni giorno più evidente.
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