Kamala Harris sta precipitando in una crisi, ormai sempre più evidente, negli ultimi giorni il suo staff ha subito molte perdite e i gossip del Palazzo segnano un forte disagio crescente.
I segnali della crisi in cui è precipitata Kamala Harris si moltiplicano, dalle dimissioni di vari suoi collaboratori ai crudi dati dei sondaggi. Negli ultimi dieci giorni hanno detto addio in quattro, a partire dalla senior consigliera Symone Sanders e dalla direttrice delle comunicazioni Ashley Etienne, entrambe afro-americane.
Era da mesi che il gossip del Palazzo segnalava il crescente disagio dei membri dello staff per i difetti manageriali e caratteriali della Harris. Un’inchiesta del Washington Post di qualche settimana fa era stata devastante. Il succo di una trentina d’interviste a suoi collaboratori attuali e passati era che la vicepresidente non leggerebbe neppure i report che le vengono forniti per prepararsi con cura ad affrontare il portafoglio dei compiti assegnati da Biden, su tutti la questione della immigrazione clandestina dal Messico e della legge per la riforma federale delle elezioni.
E poi, incapace di fare lavoro di squadra, se la prenderebbe con gli aiutanti per le figuracce e la cattiva stampa su di lei, trattandoli con arroganza.
Il 10 dicembre, la media dei sondaggi curata da RCP dice che oltre il 53% degli americani la giudica sfavorevolmente, con meno del 40% che la promuovono. Questo è un dato medio, appunto, ma per USA Today l’indice di approvazione di Kamala si è inabissato giorni fa al 28% mentre per Economist-You/gov e per Rasmussen quello di disapprovazione è balzato al 57%. La vice, in altre parole, è ormai ben sotto il proprio boss, che non ha certo bisogno della zavorra di Kamala per peggiorare il proprio rating positivo, attorno al 42%, e sperare di rialzarsi da quello negativo, attorno al 53%.
Sul Wall Street Journal, la commentatrice conservatrice e anti Trump, Peggy Noonan, ha descritto la Harris come una donna politica “non seria”. E che deve darsi una mossa, deve studiare, deve diventare umile, perché l’America è preoccupata di dover assistere alla sua performance. Come potrebbe non esserlo, con la prospettiva che un giorno, da qui a tre anni, potrebbe esserci lei al posto di Biden?
Non stupisce, in questo contesto, che a meno di 11 mesi da quando l’ex senatrice californiana è entrata in carica circoli già il nome di qualche suo auspicabile sostituto, per esempio Pete Buttigieg, attuale ministro dei Trasporti. E ciò dovrebbe avvenire durante il primo mandato di Biden, anzi prima del voto per il rinnovo del Congresso nel novembre 2022.
I Democratici prevedono di perdere il controllo della Camera, e la legge dice che, nel caso un vicepresidente non possa esercitare le sue funzioni (per causa di forza maggiore, o perché si dimette) il presidente ne nomina un altro che deve essere approvato con voto di entrambi i rami del Congresso.
Donna Brazile, storica dirigente del partito, ha definito “gossip” le voci di un cambio in corsa della vicepresidente, ma è innegabile che sia la spia del panico reale che si sta impadronendo della Casa Bianca di Biden. Lo staff che circonda da vicino il presidente, si sa, più che rispondere a lui è in simbiosi con, e rappresenta, la vera leadership informale del partito: ossia, il circolo dei capi parlamentari in carica, Chuck Schumer e Nancy Pelosi, integrato dai dirigenti del Comitato Nazionale Democratico, e dai leader storici con Obama in testa. Quei personaggi DEM influenti sulle sorti del partito, insomma, che, più o meno convinti, lo hanno fatto eleggere togliendo di mezzo Bernie Sanders che stava vincendo le primarie.
La dirigenza DEM sa tre cose per certo, tutte correlate e nefaste politicamente. La prima è che Joe non è neppure immaginabile quale candidato per il 2024, posto che il degrado della sua salute lo faccia durare nella Stanza Ovale per i prossimi tre anni. La seconda è che Kamala Harris si è già dimostrata peggio di lui, e non potrebbe avere realistiche chance di successo contro nessun repubblicano. Del resto, non è una legge naturale che un vicepresidente sia candidato alla successione: lo stesso Biden, dopo otto anni da numero due, era stato scalzato da Hillary Clinton su input dello stesso Obama.
I Democratici pensanti sanno pure (terza cosa drammatica dello scenario) che una Harris che arrivasse al 2024 in carica non si ritirerebbe di buon ordine come fece Biden nel 2016 per far posto a Hillary. La Clinton si sentiva la prima donna inevitabilmente designata a fare il presidente. Lei, Kamala, si sentirebbe, con buon diritto, la prima donna, e per di più di colore, a essere candidata presidente. Impensabile che qualcuno del suo partito la possa sostituire sfidandola alle primarie. Il nome “chiacchierato”, Buttigieg, ex sindaco di una piccola città dell’Indiana, è più noto come gay dichiarato, sposato e con due figli recentemente adottati. Con questo profilo offrirebbe all’establishment liberal uno slogan di rimpiazzo all’altezza della loro ossessione per la diversity: invece della prima donna, il primo gay presidente.
Il paradosso, ma fino a un certo punto, è che a creare difficoltà alla vicepresidente Harris è stato proprio chi l’ha nominata, Biden. Forse, perché un vero feeling tra i due non c’è mai stato. Al contrario. Tutti ricordano che Kamala, durante uno dei dibattiti delle primarie DEM a cui ha partecipato, prima di ritirarsi addirittura il 3 dicembre 2019 dalla gara come prima candidata fallita, aveva accusato Joe di razzismo, per aver votato in Senato, negli Anni ’70, contro la norma sui bus che portavano gli studenti neri nelle scuole dei quartieri bianchi. L’offesa non è stata dimenticata, ma Biden ha poi scelto il matrimonio politico di convenienza, scegliendo la Harris in quanto donna di colore.
Una volta insieme alla Casa Bianca, Kamala ha però irritato subito il capo-benefattore con una gaffe che non è passata inosservata: in più occasioni ha citato l’amministrazione come “Harris-Biden”, non semplicemente “amministrazione Biden”, che è il normale gergo politico. Chiaramente lei stava anticipando, nella sua mente e come messaggio per il pubblico, che il futuro d’America era già il suo: la 57enne rampante impaziente di subentrare al presidente di 21 anni più vecchio di lei. Anche per questo, alla prima intervista in cui gli è stato chiesto, Biden ha detto “certo, il mio piano è di essere riconfermato nel 2024”. E si è messa in moto la “crisi della successione”.
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