Le opportunità consentite dalla normativa di lavorare in cassa integrazione senza dover rinunciare all’indennità
Le norme dello Stato non sono molto vicine alle reali esigenze dei lavoratori in cassa integrazione. Pur essendo un ammortizzatore sociale, è spesso vissuta come una trappola senza via d’uscita, perché, rimanendo nella legalità, le possibilità per arrotondare l’insufficiente indennità che offre sono assai scarse.
(Per la gloria).
L’inizio di un nuovo lavoro presuppone l’invio all’Inps e al proprio datore di lavoro di una raccomandata con ricevuta di ritorno; in caso contrario, quando il lavoratore sarà scoperto, perderà l’indennità di cassa integrazione per tutta la sua durata. Nel momento in cui il nuovo reddito percepito dovesse essere, ad esempio, di 600 euro mensili, se la cassa integrazione ne valesse 800 al mese, l’Inps verserebbe al cassintegrato la differenza: 200 euro (al mese). In sintesi, si tratterebbe di lavorare senza aumentare le entrate: un incentivo pensato su misura per i discendenti della famiglia Stachanov, o un invito per i cassintegrati in fuga dalle faccende domestiche e da quel genere di incomprensioni con il partner riassumibili in un paio di piatti volanti (propenderei per la seconda ipotesi).
(Prima via d’uscita).
Nel caso in cui un cassintegrato, che aveva un impiego part time, riuscisse a trovare un nuovo lavoro - sempre part time -, potrebbe cumulare cassa integrazione e nuovo reddito dopo aver dimostrato che la nuova occupazione si svolge in orari differenti rispetto a quelli del precedente lavoro part time per il quale percepisce il sussidio.
(Seconda via d’uscita).
Se il lavoratore riuscisse a trovare una nuova occupazione dalla durata temporanea ma ben rimunerata, la cassa integrazione potrebbe essere sospesa per un tempo limitato alla nuova attività lavorativa. Al termine di quest’ultima, potrebbe riprendere a goderne. In caso di nuovo contratto a tempo indeterminato, ça va sans dire, al termine del periodo di prova, il lavoratore ne perderebbe i diritti in modo definitivo.
(Terza e ultima via d’uscita).
Esiste un modo per lavorare guadagnando in maniera legale mentre si percepisce la cassa integrazione? Sì. Questa tipologia di lavoro che rappresenta una soluzione, seppur limitata, per ogni lavoratore in cassa integrazione che abbia necessità di aumentare il suo reddito mensile si chiama lavoro accessorio, un lavoro che viene retribuito mediante il sistema dei buoni lavoro o voucher (acquistabili dai datori di lavoro secondo le istruzioni dell’Inps e riscuotibili dai lavoratori nelle banche o negli uffici postali). Il limite massimo di retribuzione tramite i voucher, anche nel caso in cui ci fossero più lavori da svolgere in un dato anno in aziende diverse, è di 3000 euro netti per anno solare, mentre da un singolo datore di lavoro il cassaintegrato può ricevere un malloppo di massimo 2000 euro netti per anno solare. In sintesi, se si percepisce la cassa integrazione: due o più lavori accessori in un anno solare, max 3000 euro annuali; un lavoro accessorio in un anno solare, max 2000 euro annuali. Poco ma fattibile. Adottando questa soluzione, non è neanche necessario sbattersi per avvisare il proprio datore di lavoro e l’Inps.
(Dettagli).
Un paio di giorni fa un amico cassintegrato mi faceva notare che «l’unico contratto che consente a uno messo come me (a un lavoratore in cassa integrazione, ndr) il versamento e la ricongiunzione con i contributi versati in precedenza è il contratto a tempo determinato».
Quel contratto a tempo determinato che di recente ha subìto, tra le polemiche (vedi Fassina, ex viceministro dell’Economia), queste modifiche. Il risultato è un contratto a precariato determinato: una sconfitta mai persa o una vittoria mai vinta; fate voi. Io al momento sto pensando a quelli come me.
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