Chi cerca l’escalation guarda all’Eliseo: se «spuntano» gli hacker, la Nato può colpire

Mauro Bottarelli

09/04/2022

Mentre la Slovacchia cede batterie S-300 all’Ucraina e riceve Patriot dagli Usa, le accuse di russofilia verso Marine Le Pen rimandano al Russiagate. E alla minaccia di Stoltenberg sui cyber-attacchi

Chi cerca l’escalation guarda all’Eliseo: se «spuntano» gli hacker, la Nato può colpire

La Russia non è più il vicino di casa che pensavamo fosse. Così Sanna Marin, primo ministro della Finlandia, ha avvicinato il suo Paese all’ingresso nella Nato. Un qualcosa che, a detta della numero uno di Helsinki, avverrà con cautela ma in fretta, già nel corso di questa primavera. E la decisione godrebbe del supporto dell’opinione pubblica, poiché l’ultimo sondaggio al riguardo condotto da Axios ha visto i favorevoli a un ingresso nell’Alleanza attestarsi al 60%, un balzo di 34 punti dalla rilevazione dello scorso autunno e il massimo da quando viene condotto lo studio. Ovvero dal 1998.

Più cauta ma sulla stessa strada appare la Svezia, le cui ritrosie residue sono diventate negli ultimi giorni l’obiettivo principale e quasi ossessivo delle attenzioni del segretario della Nato, Jens Stoltenberg. A detta del quale, tutti i 30 membri attuali daranno immediatamente il benvenuto a Svezia e Finlandia non appena queste presenteranno domanda di ingresso. In compenso, ci sono affiliati che non perdono tempo. La Slovacchia ha infatti comunicato l’intenzione di trasferire in Ucraina le proprie batterie anti-aeree S-300 (ironia della sorte, di fabbricazione russa), al fine di contrastare l’aggressione russa. E a stretto giro di posta, Joe Biden - nel lodare la generosità slovacca - ha confermato come Washington rimpiazzerà quei sistemi ceduti da Bratislava con dispositivi missilistici Patriot. Insomma, war games. A un passo dal teatro di vera guerra.

E giova ricordare come le parole siano pietre, in situazioni simili. La Russia, infatti, non più tardi di 20 giorni fa definì bersagli legittimi tutti i carichi di armamenti in transito dai Paesi Nato verso l’Ucraina. E questa mattina, Mosca ha rincarato la dose e offerto una somministrazione di inquietante fosforo agli smemorati: Le forniture di armi e munizioni all’Ucraina da parte dell’Occidente causano ulteriore spargimento di sangue, sono pericolose e provocatorie e possono portare gli Stati Uniti e la Federazione Russa sulla via del confronto militare diretto. Parole dell’ambasciatore russo negli Stati Uniti, Anatoly Antonov, in un’intervista a Newsweek. Insomma, il conflitto potenzialmente nucleare. E il fatto che l’Ucraina abbia ordinato 220.000 fiale di atropina, farmaco utilizzato per il contrasto degli effetti delle armi chimiche, parla chiaro.

E attenzione allo scenario da Usa 2016 che sembra prefigurarsi in vista del primo turno delle presidenziali francesi di domani. Forse colto di sorpresa dagli ultimi sondaggi che confermano un testa a testa, Emmanuel Macron ha infatti alzato il tiro verso Marine Le Pen, definita in un’intervista con Le Parisien, dipendente finanziariamente da Putin e quindi accondiscendente con la Russia. Un’accusa di quelle che marchiano a fuoco in tempi come quelli attuali. E che, appunto, lasciano intravedere lo spettro di un potenziale Russiagate con vista sulla Senna, soprattutto se tra domani e il ballottaggio del 24 aprile dovesse fallire o rivelarsi improduttiva al fine della vittoria la creazione del Fronte repubblicano per sbarrare la strada dell’Eliseo alla destra. Insomma, Emmanuel Macron ha palesemente messo le mani avanti rispetto al rischio di interferenza dirette della Russia nel voto francese.

C’è però un problema. Quantomeno per chi comincia a temere realmente un allargamento incontrollato dal conflitto. O un’opportunità, invece, per i Dottor Stranamore che paiono intravedere all’orizzonte interessi a rischio talmente grandi da rendere accettabile addirittura l’ipotesi di escalation nucleare, una vera e propria partita a dadi con l’imponderabile. Non più tardi dello scorso 25 febbraio, infatti, il segretario della Nato, Jens Stoltenberg, confermò nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles che un attacco cibernetico contro le infrastrutture di un Paese alleato può far scattare l’articolo 5 della Nato. Ovvero, l’obbligo di intervento da parte dell’Alleanza in difesa dello Stato membro attaccato.

Insomma, se casualmente spuntassero i mitologici hackers russi e le loro diaboliche manine sulla tastiera dietro a un’affermazione della Le Pen al primo turno (o, addirittura, al secondo), sul tavolo dell’Alleanza arriverebbe un dossier scottante: come reagire? Un’interferenza diretta nel più sacro dei processi democratici occidentali è definibile e classificabile come attacco alle infrastrutture portanti di un Paese? Le parole scomodate da Emmanuel Macron alla vigilia del voto pesano. Come macigni. E vanno ben al di là della mera contrapposizione elettorale, ancorché aspra e prona al colpo sotto la cintura tipico delle ultime, concitate ore di campagna elettorale.

L’impressione è quella di una criticità sottostante talmente grave da dover essere sottaciuta a tutti i costi all’opinione pubblica. Su più fronti. E attenzione anche agli aspetti finanziari. Perché mentre Standard&Poor’s portava il rating russo a default selettivo, Goldman Sachs faceva i conti e stimava come una vittoria di Marine Le Pen spedirebbe lo spread Oat-Bund nel range 60-75 punti base e quello fra Btp e Bund in area 180-210. Non a caso, la Bce già lavora a un facility di emergenza da annunciare giovedì al termine del Consiglio direttivo. La carne messa sul fuoco comincia a essere davvero troppa. Il rischio che qualcosa bruci appare quasi inevitabile. Resta da capire quale sarà l’entità dell’incendio. E quale fronte sarà più determinato, fra quello di chi getta acqua e chi soffia sul fuoco.

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