Chi rischia di perdere il lavoro a causa dei robot (e chi invece può stare tranquillo)

Simone Micocci

9 Dicembre 2021 - 10:11

Uno studio ci dice quale sarà l’impatto dello sviluppo tecnologico sul mondo del lavoro: in futuro tra i 4 e i 7 milioni di lavoratori rischiano di essere sostituiti dai robot.

Chi rischia di perdere il lavoro a causa dei robot (e chi invece può stare tranquillo)

Lo sviluppo tecnologico, con la realizzazione di robot sempre più all’avanguardia, potrebbe comportare la perdita del lavoro per molti italiani. Il dato è sconcertante: rischiano di perdere il lavoro tra le 4 e le 7 milioni di persone, per le quali la sostituzione da parte delle macchine potrebbe essere sempre più vicina.

In questi giorni su Facebook è diventato virale il video del robot Ameca, sorprendente per la qualità delle sue espressioni facciali, talmente ben fatte che lo fanno sembrare una persona vera. Un video che mostra i passi avanti che ormai la tecnologia sta facendo, con tutti i vantaggi e gli svantaggi del caso. Perché è vero che lo sviluppo tecnologico è un qualcosa a cui guardare con soddisfazione, ma anche con attenzione visto l’impatto che questo avrà sul mondo del lavoro.

D’altronde in alcuni settori lavorativi è già successo che i robot hanno preso il posto del lavoratore e in futuro questo sistema potrebbe allargarsi a macchia d’olio. E adesso si ha anche la risposta su quanti lavoratori rischiano in futuro di perdere il lavoro a causa della maggiore efficienza di robot e macchine, nonché quali settori saranno più coinvolti in questo ricambio. A rispondere a questa domanda, infatti, è uno studio scientifico - “Rischi di automazione delle occupazioni: una stima per l’Italia”, pubblicato sull’ultimo numero della rivista Stato e Mercato del Mulino - con il quale sono state prese in esame le probabilità di automazione di 800 professioni (tutte quelle contenute nel database Istat-Inapp).

Lo studio che analizza le conseguenze dello sviluppo tecnologico sul mercato del lavoro

Lo studio è stato realizzato da tre economisti: Mariasole Bannò, Università di Brescia, Sandro Trento (Università di Trento) ed Emilia Filippi (Università di Trento).

Due sono gli scenari presi in esame: il primo è quello studiato applicando il principio dell’occupation-based approch, secondo cui tutte le professioni dove ci sono attività particolarmente automatizzabili sono a rischio di sostituzione. Questo, scenario più pessimistico, prevede un ricambio del 33,2% dei lavoratori italiani, per un totale di 7,12 milioni di persone.

Il secondo approccio è invece più prudente: applicando il principio del task-based approch, infatti, vengono considerate solamente le attività lavorative che verranno automatizzate. È ovvio che meno saranno le attività da svolgere (visto che delle altre se ne occuperanno i robot) e meno persone saranno necessarie per quel tipo di lavoro, ma perlomeno in questo scenario non saranno tutti i lavoratori a perdere il posto. Tant’è che si parla del 18,1% degli italiani, l’equivalente di 3,87 milioni di addetti.

Chi rischia di perdere il lavoro a causa dei robot

La stima, dunque, è paurosa: tra i 4 e i 7 milioni di lavoratori italiani rischiano di perdere il lavoro, e di dover cambiare mestiere, in quanto nei prossimi anni saranno sostituiti dai robot. In particolare uomini, in quanto i robot, per il momento, sono ancora lontani dal poter svolgere quei lavori di assistenza dove - almeno statisticamente - c’è una maggiore presenza femminile.

Appare ovvio che i lavori più a rischio sono quelli più esposti all’automazione, ossia quelli dove è più semplice programmare un robot in grado di svolgere ogni giorno sempre lo stesso tipo di attività. In particolare, il report suddetto pone l’attenzione sui seguenti mestieri:

  • addetti alla contabilità;
  • addetti alle consegne;
  • centralinisti;
  • portieri;
  • operatori nell’assemblaggio;
  • operatori nella logistica;
  • cassieri/e.

C’è quindi un elemento che accomuna queste attività: il fatto che queste svolgano funzioni di routine, dove c’è poco spazio per quelle caratteristiche che, almeno per adesso, sono difficili da programmare in un robot, come ad esempio può essere l’intelligenza creativa e quella sociale.

Attenzione però: gli stessi economisti mettono in risalto le lacune di un tale calcolo.

Ci sono dei fattori proprio del nostro mercato del lavoro, infatti, che “fanno sì che l’automazione effettiva in Italia sia probabilmente minore di quella potenziale”. A perdere il lavoro, quindi, potrebbero essere meno lavoratori di quelli stimati, in quanto bisogna considerare che in Italia c’è una maggiore presenza di piccole e medie imprese (che sono la stragrande maggioranza), le quali hanno una minore propensione all’investimento tecnologico. C’è poi una forte caratterizzazione del cosiddetto “capitalismo familiare”, il quale tende a contenere i cambiamenti ponendo maggiore attenzione ai dipendenti. Infine bisogna anche considerare alcuni vincoli normativi previsti nella regolazione del mercato del lavoro; tutti fattori che dovrebbero frenare, ma probabilmente solo rallentare, il ricambio robot/dipendenti.

Chi non rischia di essere sostituito dalle macchine

Se c’è chi deve preoccuparsi perché presto un robot potrebbe prendere il suo posto di lavoro, c’è anche chi può stare assolutamente tranquillo. Ovviamente si tratta di quei settori dove le possibilità di automazione sono minime, e dove è la creatività e il pensiero critico del lavoratore a fare la differenza. Nel dettaglio, i settori dove questo ricambio appare, a oggi, impossibile, sono:

  • management e finanza;
  • ambito legale;
  • istruzione;
  • assistenza sanitaria;
  • arte.

Settori dove solitamente è richiesto un alto livello d’istruzione, ma non sempre è così. Ci sono, infatti, professioni dove nonostante un basso livello d’istruzione e salari non elevati, il rischio di automatizzazione è minimo, se non nullo. Si pensi, ad esempio, a:

  • fotografi;
  • sarti;
  • idraulici;
  • parrucchieri;
  • camerieri.

Ci si può difendere dai robot?

Ovviamente la soluzione sembra essere quella di orientarsi verso quei settori dove non c’è il rischio di sostituzione da parte dei robot.

Ma sono i governi a dover far la loro parte per far sì che lo sviluppo tecnologico non vada a impattare sulla vita delle persone: ad esempio, come suggeriscono i realizzatori dello studio, questi dovrebbero fare in modo di aumentare le opportunità d’impiego nei settori dove l’attività umana è più difficile da sostituire. Vale per l’istruzione, la sanità, il turismo, i servizi alla persona.

Allo stesso tempo si dovrà rendere il lavoro umano più conveniente rispetto a quello dei robot, ad esempio riducendo il cuneo fiscale.

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