La Cassazione dà ragione all’AMA: il Vaticano deve pagare la tassa sui rifiuti (Tari). La cartella esattoriale è passata da 71 mila euro a oltre un milione e 200 mila. Non solo quindi la Tari del 2012 dovrà essere pagata, ma anche quelle degli anni successivi.
Al pari dei comuni cittadini, anche la Chiesa dovrà pagare la Tari, ovvero il tributo che viene pagato dai contribuenti per remunerare il servizio di raccolta e smaltimento rifiuti. Lo ha stabilito una sentenza della Cassazione, che dà ragione all’AMA, società che gestisce, per conto dell’ente Roma Capitale, la raccolta, il trattamento e lo smaltimento dei rifiuti.
La ragione dell’inizio del contenzioso è stato il mancato versamento della Tari nel 2012, per un ammontare di 71.000 euro. Dopo anni la vicenda non si è sgonfiata, al contrario è stata la cartella esattoriale dell’Agenzia delle Entrate a gonfiarsi.
Il Vaticano è rimasto convinto di non dover pagare la Tari per via dell’articolo 16 dei Patti Lateranensi. Ma la Cassazione ha deciso diversamente e ora al Vaticano sono richiesti oltre un milione di euro per pagare il debito con lo Stato sulla tassa dei rifiuti.
Dalla Tari non scappa neanche il Vaticano
La Chiesa era convinto di essere intoccabile dalla tassa sui rifiuti prevista dal Comune di Roma. Il motivo di tale sicurezza risiederebbe nell’articolo 16 dei Patti Lateranensi, ovvero gli accordi sottoscritti tra il Regno d’Italia e la Santa Sede l’11 febbraio 1929, revisionati nel 1984 e ancora oggi validi. Nell’articolo 16 si legge:
Gli immobili indicati nei tre articoli precedenti, nonché quelli adibiti a sedi dei seguenti istituti pontifici [...] non saranno mai assoggettati a vincoli o ad espropriazioni per causa di pubblica utilità [...] e saranno esenti da tributi sia ordinari che straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente.
Insomma, l’articolo parla chiaro, ma la Cassazione ha rigettato la difesa e ha stabilito che il Vaticano dovrà pagare la Tari del 2012 (71 mila euro) e versare anche gli anni successivi, per un valore totale di 1 milione e 200 mila euro.
Non sarà solo la Santa Sede a pagare la tassa e gli arretrati accumulati nel tempo, ma anche tutte le istituzioni vaticane che hanno eluso il pagamento della Tari nel corso degli anni, ignorando le cartelle esattoriali. Tra questi i vari immobili del Vaticano come il palazzo del Vicariato, i palazzi della Datarìa, della Cancelleria, di Propaganda Fide in Piazza di Spagna e gli istituti come l’Università Gregoriana, Collegio Lombardo e molti altri.
Perché la Cassazione non ha accettato il ricorso?
La risposta è semplice: la Tari è una tassa che corrisponde a un servizio, quello appunto della raccolta dei rifiuti, per cui l’Istituto pontificio non è esente da pagamento. In merito i giudici che si sono espressi sulla vicenda hanno scritto che “l’esenzione, prevista dall’articolo 16 del Trattato Lateranense è ragionevole che concerna, esclusivamente, le imposte che gravano sui redditi degli immobili in questione”. In parole semplici l’articolo 16 non esonera da questa imposta e la Chiesa dovrà pagare al più presto il corrispettivo dovuto.
Il mito della Chiesa che non paga le tasse
Non è vero che la Chiesa non paga nessuna tassa. Le paga le tasse, almeno sugli immobili in affitto e tutti gli edifici che non sono compresi nel trattato lateranense. La sentenza della Cassazione cambia un po’ le carte in tavola e aggiunge qualche soldo extra nelle tasche della Capitale.
Ma a quanto ammonta il totale delle tasse pagate dalla Chiesa in Italia? Lo dimostra l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica: nel 2018 il Vaticano ha versato 9 milioni e 200 mila euro per la tassa sugli immobili (IMU). Nel 2019, continua l’infografica pubblicata dal Messaggero, le tasse pagate ammontavano a 9 milioni e 304 mila euro, di cui: 354.000 di Tasi, 5.750.000 di Imu (90% al comune di Roma) e 3.200.00 di Ires.
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