Pechino mette al bando le aziende di profit tutoring e il settore education (100 miliardi) si inabissa. Gaotu ha chiuso a 3,51 dollari dai 149,05 del 27 gennaio. Ed era nel portfolio long di Archegos
Occupato com’era a seguire la storica visita di Xi Jinping in Tibet, il mondo dell’informazione si è scordato di ragguagliare il pianeta su altro accaduto in Cina nelle ultime 36 ore. A partire da questo grafico,
Fonte: Bloomberg
il quale contestualizza il crollo dei titoli azionari del comparto tech educational cinese seguito all’indiscrezione in base alla quale Pechino sarebbe stata intenzionata a operare un giro di vite su tutte le aziende di profit tutoring. Chiunque generi profitti, raccolga capitale o si quoti in Borsa è bandito dal sistema educativo.
Un settore da 100 miliardi di dollari affondato solo da un’indiscrezione. Il problema, però, è che alle parole il Dragone ha fatto seguire i fatti. A tempo di record. Quanto annunciato come rumors, infatti, è stato confermato oggi. L’education tech sector cinese è stato ufficialmente messo alla porta. Con un preavviso minimo ma in grado di fare danni incalcolabili. E, soprattutto, inviare un messaggio in codice raggelante agli Usa e al mondo.
Questo grafico
Fonte: Bloomberg
mostra infatti la parabola degna di Enron vissuta dal leader del settore, Gaotu Techedu (ex GSX), passata dai 149,05 dollari di valutazione del 27 gennaio scorso ai 3,52 dollari della chiusura di ieri, 23 luglio. Un rotondo -63,26% intraday. L’uomo della strada, a questo punto, si chiederà quale sia la notizia tanto allarmante, ancorché alla luce di un tracollo simile, nessun media abbia sentito il bisogno di darne conto. Questa schermata
Fonte: Bloomberg
parla chiaro e avvicina in maniera drammatica l’orizzonte geografico di interesse: Gaotu (GSX) era infatti nella lista long di Archegos, il fondo che ha imposto perdite miliardarie a Credit Suisse e Nomura, dopo che le banche che operavano da prime brokerage hanno attivato una margin call sull’esposizione, scaricando miliardi di titoli in portfolio al fondo.
Se lo scorso marzo la creatura di Bill Hwang non fosse andata zampe all’aria e il suo gioco delle tre carte sul leverage fosse proseguito solo per qualche altro mese, oggi Credit Suisse sarebbe nel pieno di un weekend in stile 13-14 settembre 2008. Ovvero, un fine settimana all’insegna del brivido da Lehman Brothers. Tutto ipotetico, ovviamente. E per fortuna. Ma al netto del fatto che il 2021 sia cominciato decisamente sotto una cattiva stella per il colosso elvetico, resta un fatto: Archegos ha potuto portare avanti i suoi giochi delle tre carte per trimestri, prima del redde rationem. Pechino ha dimostrato di poter generare una potenziale Lehman Brothers a tavolino in due giorni, solo volendolo.
E questi ultimi due grafici
Fonte: FactSet/Bloomberg
Fonte: Bloomberg
mettono la questione in prospettiva: dopo aver bruciato un trilione di market cap del suo settore tech in soli cinque mesi, a colpi di restrizioni, regolamentazioni e inchieste a partire dalla mancata Ipo di Ant Group, oggi la Cina ha appena alzato ulteriormente la posta in palio nell’immaginaria partita con gli Usa su chi comanda la giostra. I 100 miliardi di wipe-out del settore education tech andranno a pesare ulteriormente sul bagno di sangue che sta già patendo il Golden Dragon Index del Nasdaq, la particolare sezione del circo azionario tecnologico in cui ci si cimenta con la nobile arte di cavalcare unicorni con gli occhi a mandorla. Senza tenere le briglie.
Ora, però, la festa pare finita. Prima il giro di vite regolatorio, poi il divieto di quotazione negli Usa per aziende ritenute strategiche, ora il bando di quelle di tutoring dal sistema educativo, in caso mantengano il profilo profit. Giorno dopo giorno, silenziosamente, la Cina sta colpendo gli investitori statunitensi con nazionalizzazioni de facto dei comparti strategici o sabotaggi volontari degli indici. Pechino sta alzando la posta in maniera esponenziale. Washington, prima o poi, dovrà rispondere.
E in prospettiva, sorge una domanda: sarà stato un caso che Goldman Sachs e JP Morgan, primary dealers del Tesoro Usa, abbiano attivato la margin call a fine marzo, scaricando le perdite si due soggetti non statunitensi come Credit Suisse e Nomura? Qualcun altro, quindi, rischia di fare ancora la fine del proverbiale vaso di coccio tra vasi di ferro nel più che probabile proseguo della tech-equity war sino-americana?
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