Competitività Italia: i punti di forza della nostra economia

Luca Pezzotta

25 Ottobre 2016 - 08:08

Dopo aver visto i punti deboli della competitività italiana, cerchiamo di valutare i punti di forze sempre partendo dal «The global competitiveness report 2016-2017».

Competitività Italia: i punti di forza della nostra economia

In un precedente articolo, prendendo spunto da quanto si trova sul sito del World economic forum, nel “The global competitiveness report 2016-2017”, avevamo riportato quelli che vengono considerati, nel report stesso, i punti deboli dell’economia italiana per quello che concerne la competitività. Ora, basandoci sempre sullo stesso report, cerchiamo di vedere quali sono, invece, a termini del medesimo, i pregi o punti di forza.

Innanzitutto prendiamo ancora il grafico che riporta i 12 pilastri per avere anche quella sorta di “effetto visivo” che il grafico garantisce.

Seguendo il grafico è facile notare come i pilastri che hanno raggiunto una migliore votazione (o punteggio) sono: le infrastrutture; l’educazione primaria e la salute; la misura del mercato.

Per quello che riguarda le infrastrutture il punteggio raggiunto (sempre con una scala da 1-7, migliore) è di 5.4 con il 25° posto. A sua volta questo pilastro è diviso in due sotto-pilastri: uno riguarda le infrastrutture per i trasporti (5.4 con il 25° posto), l’altro le infrastrutture elettriche e telefoniche (6.0 con il 22° posto).

Per quello che riguarda le infrastrutture del trasporto: per la qualità delle strade il punteggio è 4.6 con il 46° posto; relativamente alle infrastrutture per i treni e la rete ferroviaria, il punteggio è 4.1 con il 31° posto; per le infrastrutture portuali, punteggio 4.4 con il 56° posto; mentre per le infrastrutture del trasporto aereo il punteggio è di 4.6 con il 60° posto.

Sappiamo che è difficile credere che, un paese, dove le strade, le autostrade (per es. la Salerno-Reggio Calabria) e molti altri cantieri, per le grandi opere, sembrano lavori destinati a non finire mai o ad essere consegnati con uno spropositato aggravio dei costi rispetto alla gara d’appalto, abbia un buon “ranking” e dei buoni punteggi, ma tant’è.

Probabilmente, in questo caso, più che pesare il nostro sviluppo (siamo comunque ancora considerati, nonostante ricompresi nei PIIGS, una economia avanzata) l’elemento determinante sembrerebbe essere l’arretratezza di molti altri paesi.

Un altro punto di forza sarebbe nella salute e nell’istruzione primaria. A discapito di quanto si dica sul nostro sistema sanitario, in condizioni ben migliori prima dell’arrivo dell’austerità e di una ministro (Beatrice Lorenzin) che sta alla medicina come i cavoli a merenda, nella salute raggiungiamo un punteggio di 7.0 (massimo) e occupiamo il 3° posto su 138, dietro solo a Giappone (1°) e Spagna (2°). Si avete capito bene, al primo posto tra le 138 economie valutate nel report c’è il Giappone con lo yen svalutato e ben due paesi ricompresi nei PIIGS: Spagna e Italia (si chiama welfare, o quello che ne rimane).

Altri parametri che segnano una buona posizione relativamente alla salute sono la bassa mortalità infantile (2.9, 13° posto – anche se il punteggio basso e la buona posizione in classifica stanno a significare che non siamo noi a fare particolarmente bene, ma sono gli altri a fare peggio) e l’aspettativa di vita (5° posto, con un’aspettativa di 82,7 anni). Per l’educazione primaria (5.8, con il 28° posto) il ruolo principale è giocato dall’alto tasso di iscrizione alle scuole dell’obbligo con il 97.6% di iscritti tra coloro che sono tenuti alla scuola dell’obbligo stesse, ed il 34° posto.

Per quanto riguarda, invece, la misura del mercato (5.6, con il 12° posto) quello che determina il buon punteggio e la buona posizione sono principalmente l’indice della misura del mercato interno (5.5, con il 12° posto) e l’indice della misura del mercato estero (5.9 con il 16° posto).

Detto questo riportiamo ora ancora un paio di considerazioni sostenute nel report. Una riguarda la capacità di misurarsi con le “sfide” della digitalizzazione dove si dice apertamente (innovazione, 3.9, con il 32° posto): “Innovation and business sophistication remain among the strengths of the Italian economy […]” - “Innovazione e sofisticazione del business rimangono tra i punti di forza dell’economia italiana […]”, senza considerare il continuo miglioramento nella dimensione della prontezza tecnologica.

Mentre l’altra riguarda l’ambiente macroeconomico. Riportiamo ancora le testuali parole del report: “Italy has strengthened its macroeconomic position, but public debt remains high in light of low inflation” – “L’Italia ha rafforzato la sua posizione macroeconomica, ma il debito pubblico rimane alto alla luce della bassa inflazione”.

In questo caso non si riportano punteggi e classifiche, ma si pone l’accento su quel “debito che rimane troppo alto alla luce della bassa inflazione. Infatti, la bassa inflazione rende maggiore il valore reale del debito facendolo pesare come un macigno. Forse sarebbe ora di dire le cose per intero, perché è vero che una bassa inflazione tutela, in generale, il potere d’acquisto ed il risparmio ma, allo stesso tempo, rende il valore reale del debito maggiore.

In altre parole, avere un alto rapporto debito/PIL o un alto stock del debito con un’inflazione, per es. al 5%, al 6% o al 10%, non è uguale (nemmeno nei tre casi tra di loro) ad avere gli stesi livelli di debito (sempre in rapporto al PIL o considerato come stock) con una bassa inflazione o in deflazione. Come il potere d’acquisto sale con la deflazione, così fa anche il valore reale del debito.

Concludendo, abbiamo visto i punti deboli dell’economia italiana ed i suoi punti di forza a termine del “The global competitiveness report 2016-2017”. Non ci sembra che i provvedimenti dell’esecutivo e nemmeno l’informazione dei media a sua disposizione, abbiano mai affrontato e riportato quelli che sono i punti di forza o di debolezza dell’economia italiana limitandosi, invece, ai soliti “pipponi” ed ai soliti provvedimenti che non hanno l’obiettivo di difendere gli interessi che sono propri del paese nel suo complesso, dei suoi abitanti e facendo, invece, il favore di interessi particolari.

Interessi particolari che si vorrebbero far assurgere, falsamente e proditoriamente, a problemi generali solo per ritagliarsi uno spazio di manovra per poter compiacere chicchessia (visto che ultimamente sembriamo in balia di chiunque) spostando i diritti e le tutele sempre più in basso.

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