Cosa succede al convivente non sposato dopo la morte del compagno? Può continuare ad abitare nella casa di proprietà del defunto? Ecco cosa dice la legge in merito.
Nonostante l’evoluzione normativa, la convivenza non è stata ancora equiparata al matrimonio, quindi conviventi e coniugi non godono degli stessi diritti. Tra questi un trattamento approfondito merita il diritto di abitazione nella casa del compagno dopo la sua morte.
Come noto, in caso di morte dopo il matrimonio, il coniuge ha diritto a continuare a vivere nell’immobile familiare, anche se era di esclusiva proprietà del defunto; cosa succede invece se la coppia non è sposata?
La legge 76/2016, nota come Legge Cirinnà, prevede che il coniuge more uxorio non ha un vero e proprio diritto di abitazione ma stabilisce un periodo di tempo determinato in cui può continuare a vivere nella casa del defunto, termine che subisce un prolungamento se sono presenti dei figli.
Vediamo nel dettaglio come funziona il diritto di abitazione nella convivenza, quanto dura e cosa cambia se l’immobile è di proprietà esclusiva del defunto oppure è stato acquistato in comproprietà.
Convivenza: il superstite può continuare ad abitare nella casa?
La legge italiana definisce conviventi more uxorio coloro che hanno stipulato il cosiddetto patto di convivenza presso l’ufficio anagrafe del Comune di residenza. Secondo quanto stabilito dalla Legge Cirinnà, la convivenza acquista valore legale se viene stipulata tra da due persone maggiorenni, in grado di intendere e di volere, unite stabilmente da un legame affettivo e di assistenza morale e materiale reciproca, non legate tra loro da vincoli di matrimonio, unione civile, filiazione, adozione e parentela.
Dalla stipulazione del patto derivano precisi diritti e doveri del convivente more uxorio, tra questi però non compare il diritto di abitazione incondizionato alla morte del convivente che era proprietario dell’immobile.
La legge, tuttavia, per dare una forma di tutela - anche se parziale - al convivente superstite prevede che egli abbia il diritto di continuare a vivere nella stessa casa per un periodo limitato:
- non meno di due anni e non più di cinque anni se non ci sono figli;
- non meno di tre anni in presenza di figli minori o disabili.
Il coniuge superstite però perde il diritto di abitazione immediatamente se stringe un nuovo patto di convivenza, matrimonio o unione civile.
Alla scadenza del termine concesso per continuare ad abitare nell’immobile questo passerà agli eredi del defunto, quindi agli eventuali figli, ai genitori o ai fratelli. Se questi decidono di mettere la casa in vendita, il convivente superstite vanterà un diritto di prelazione sull’acquisto, vale a dire che sarà favorito in caso di più acquirenti interessati.
Convivenza e diritto di abitazione: quando l’immobile è in comproprietà
Quanto detto nel paragrafo precedente fa riferimento all’ipotesi in cui la casa sia di proprietà del defunto. Cosa succede invece quando l’immobile è in comproprietà tra i conviventi?
In questo caso si vanno a scontrare gli interessi del superstite con quelli degli eredi del defunto. Dopo la morte, sia gli eredi che il convivente possono chiedere di sciogliere la comunione; se nessuno dei due è intenzionato a versare la parte rimanente per avere la proprietà esclusiva dell’immobile questo viene messo all’asta. Le parti poi si divideranno i ricavi della vendita.
Un altro scenario possibile è che gli eredi del defunto decidano di lasciare al convivente superstite la possibilità di continuare a vivere nella casa dietro però il pagamento di un canone di affitto.
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