L’ossido di etilene è molto più diffuso di quanto pensiamo. Respirarlo, assorbirlo o mangiarlo può avere effetti diversi in base alla quantità.
Succede spesso di leggere “partita ritirata per presenza di ossido di etilene” nei nostri supermercati. Ma che cos’è l’ossido di etilene e perché si trova principalmente nel cibo o nell’aria?
Tale sostanza organica viene utilizzata per disinfettare molti prodotti e strumenti, come quelli chirurgici, ma può anche essere pericolosa per la salute ad alte concentrazioni.
Secondo alcuni studi potrebbe anche essere cancerogeno (sempre in grande quantità e non quella che si trova negli alimenti o nei prodotti sterilizzati). Infatti non ci sono prove che per via orale sia cancerogena perché in sostanze come l’acqua si degrada.
Che cos’è l’ossido di etilene?
L’ossido di etilene (o ossirano) è un composto organico semplice che si ottiene per ossidazione dell’etilene, ovvero il più semplice degli alcheni (idrocarburi). Si presenta in forma liquida e bolle a temperatura bassa, motivo per il quale si trova facilmente in forma gassosa.
Ha proprietà disinfettanti e per questo viene utilizzato in molti ambiti, come nella sterilizzazione degli strumenti chirurgici, dei biberon o per proteggere silos e magazzini alimentari da contaminazione di muffe e batteri vari.
In Europa, dove è stato inserito nelle sostanze ritenute cancerogene e tossiche, non è (o dovrebbe essere) più usato per il settore alimentare. Succede però che viene utilizzato, vaporizzandolo, contro muffe e batteri.
La pericolosità per la salute dell’ossido di etilene
Con una tossicità acuta, riscontrata in diversi studi sugli effetti dell’inalazione dell’ossido di etilene, pari 3.8 3.8 mg/l per i maschi e 3.0 mg/l per le femmine, può essere dannoso per la salute. Tale tossicità è però da considerarsi in forma aerea, quindi nelle normali condizioni di gas dell’ossido di etilene, motivo per il quale servirebbe una grande quantità per stare male.
Ovviamente l’esposizione prolungata, come può essere quella di un operaio del settore, è da considerarsi pericolosa, al contrario di un’assunzione per via orale. Infatti, senza accorgercene, tutti i giorni assorbiamo tale sostanza, basta essere vicino un fumatore o a un tubo di scarico di un’auto accesa.
Eppure il nostro organismo non ne risente particolarmente, perché la sostanza è distribuita in un ampio spazio. In vitro i risultati dell’intossicazione sono stati molto più acuti ovviamente. Sono quindi gli operai che trattato tale sostanza coloro che devono stare più attenti.
Livelli di pericolosità
Un primo livello di pericolosità è quello dell’aspirazione: basso. Infatti l’ossido di etilene è altamente solubile in acqua e quindi non si concentra facilmente nelle vie respiratorie.
Un secondo livello è quello dell’irritazione, molto più probabile, che avviene appunto a contatto con la pelle. Solitamente evapora in maniera rapida, quindi il fumo di una sigaretta non causa nessun tipo di effetto collaterale da ossido di etilene. Sicuramente per un operaio del settore, vista l’alta presenza, il risultato è diverso.
Discorso diverso in caso di prolungata assunzione. Infatti in questo caso il rischio può essere decisamente più elevato. Alcuni studi sugli animali hanno dimostrato la presenza di tumori localizzati nello stomaco.
Degli esperimenti in vitro hanno invece dimostrato che ha forte carattere di mutagenicità, ovvero può provocare alterazioni genetiche ereditarie se presente in grandi quantità, molto più di un pacco di pasta comprato al supermercato.
L’ossido di etilene è pericoloso in grandi quantità, non nell’uso quotidiano, ma nell’uso lavorativo. Tanto che non è stato riscontrato nessun tipo di problemi su fertilità maschile e femminile, né capacità di mutare e/o alterare il feto.
In conclusione: la presenza in Italia e in Europa dell’ossido di etilene è molto limitata, così come il suo utilizzo in altri settori. Nella quotidianità è difficile imbattersi in alte presenze di questa sostanza, mentre molto più pericolosa è la condizione di esposizione costante sul posto di lavoro specifico.
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