Cosa ne pensa la Cina della guerra in Ucraina?

Chiara Esposito

13/03/2022

Due grandi firme del The Atlantic fanno luce sulla mentalità cinese e spiegano come Pechino stia narrando e interpretando il conflitto Russia-Ucraina.

Cosa ne pensa la Cina della guerra in Ucraina?

I social media cinesi testimoniano il reale sentimento nazionale rispetto al conflitto Russia-Ucraina o sono imbevuti della propaganda del regime?

Questa domanda se la sono posta due note giornaliste e ricercatrici della testata americana The Atlantic, Maria Repnikova e Wendy Zhou, che nell’ultimo articolo redatto a quattro mani, fanno il punto della situazione sull’atteggiamento pro-Mosca che si diffonde in Cina e chiariscono come le radici di questa tendenza ideologica vadano ricercate in alcuni fattori culturali.

La narrazione che la politica diffonde non è mera propaganda: ci sono dei motivi grazie i quali questa versione della storia è capace di attecchire anche tra la popolazione. Il fulcro della questione sarà però rimanere in equilibrio.

L’analisi di Repnikova e Zhou fa quindi luce sulla vera posizione di Pechino a 360° e può aiutare l’Occidente a decostruire almeno in parte l’idea che i rapporti tra il governo di Xi Jinping e Vladimir Putin siano determinati unicamente da leve politico-economiche.

Cina: la metafora che spiega la guerra

Maria Repnikova e Wendy Zhou sviluppano la loro analisi a partire da un
commento ampiamente diffuso su varie piattaforme di social media cinesi. Si tratta di una metafora che descrive il conflitto Russia-Ucraina come un triangolo romantico. Secondo questa lettura allegorica l’Ucraina è identificata come l’ex moglie russa che ha maltrattato i due figli della coppia (le regioni separatiste filo-Mosca di Luhansk e Donetsk) e che ha anche flirtato con gli Stati Uniti sognando, con insuccesso, di entrare a far parte della famiglia della NATO. A questa narrativa poi si intreccia la propaganda nazionale dove arrivano anche gli Stati Uniti che rapiscono un altro bambino, Taiwan. In questo quadro di soap opera in realtà si leggono due importanti caratterizzazioni: l’evidente misoginia cinese e l’opposizione alle ingerenze degli States nelle pratiche imperialiste di Pechino.

Riguardo il primo punto possiamo infatti dire che, nella narrativa culturale del Paese, le donne non hanno una personalità indipendente, ma solo una «mente malvagia»; d’altro canto in quella che poteva solo essere un’analisi semplicistica e schierata di un conflitto si intrufolano gli interessi «personali» ovvero l’implicazione che la Cina dovrebbe seguire l’esempio della Russia. Note sono infatti le intimidazioni di Pechino a Taiwan che, con la stessa mentalità russa sulla Crimea, rivendica il territorio per «riprendersi la propria progenie».

Nonostante le due situazione, a livello storico e non solo, siano in realtà diversissime il potere di un buon framing psicologico ben calato nella mentalità delle masse è un’ottima arma di «pubblicità bellica».

In questa visione però emerge anche e soprattutto il ruolo degli Stati Uniti, il vero pernio attorno al quale girano gli interessi dell’alleanza di Pechino con Mosca.

Come scrivono Repnikova e Zhou:

«Sia nelle dichiarazioni diplomatiche che nelle discussioni sui social media, la guerra della Russia all’Ucraina è razionalizzata come un passo necessario per resistere all’aggressione occidentale. I funzionari cinesi non hanno mai approvato esplicitamente l’invasione della Russia, ma hanno spiegato che questo conflitto risuonava nell’escalation militare innescata dagli Stati Uniti».

Per avvalorare questa tesi citiamo altri due nomi. L’assistente del ministro degli Esteri cinese, Hua Chunying, ha denunciato gli Stati Uniti per aver appoggiato la Russia in un angolo espandendo la NATO verso i suoi confini mentre, un rinomato studioso di relazioni internazionali, Shen Yi ha letteralmente paragonato la minaccia dell’espansione della NATO per la Russia a quella della crisi dei missili cubani del 1962 per gli USA.

Cosa ne pensano i cinesi?

I commenti sui social network cinesi mostrano posizioni «filo-russe» soprattutto da parte di rappresentanti del governo e c’è un motivo. Come abbiamo detto il sentimento mainstream è la critica all’influenza americana e, più in generale, occidentale.

Dopo le iniziali dimostrazioni di simpatia nei confronti dell’Ucraina infatti il filtro e la censura statale riporta tutto sull’unica e sola narrazione stereotipata anti-Usa a sostegno delle rivendicazioni della Russia. Il vero umore della popolazione quindi è fortemente inquinato dall’influsso statale ma anche e soprattutto difficile da leggere a causa dell’oscuramento di ciò che contrasta l’orientamento politico.

Il quotidiano Domani porta avanti però un’interessante posizione:

«I cinesi sono un popolo pacifico e per decenni sono stati bombardati da una propaganda che ricorda l’importanza dei princìpi di “non ingerenza”, “sovranità” e “integrità territoriale” ma alcuni hanno riconosciuto chiaramente in Putin un invasore».

Questa tesi è sostenuta da un evento ben preciso quale la circolazione di clamoroso appello da parte di circa duecento ex studenti dell’Università Tsinghua. Il 3 marzo questo gruppo, che ha peraltro frequentato le stesse aule di Xi Jinping, ha fatto circolare su Weibo (l’equivalente cinese di Twitter) questo messaggio:

«Putin è un guerrafondaio che ha condotto guerre contro Cecenia, Crimea, Georgia e, più recentemente, ha sfacciatamente lanciato una guerra contro l’Ucraina, una guerra di aggressione che è stata osteggiata e condannata dalla stragrande maggioranza dei paesi del mondo».

Il timore del governo è che però l’appoggio ad un popolo oppresso non fosse letto solo in chiave anti-occidentale bensì anche anti-imperialista.
Il messaggio è quindi presto scomparso.

Gli obiettivi del governo

La Cina però non intende reprimere del tutto questa frangia di classe media o meglio, è importante reindirizzarla. Non conviene infatti sostenere apertamente la Russia quanto piuttosto trovare una via di mezzo.

Il focus dei commenti nazionalistici del governo è colpire la NATO parlando di autodifesa russa più che di legittimo attacco. Questa è la versione dei fatti coerente con l’obiettivo cinese che va promulgata.

Il fine ultimo è restare l’unico possibile appoggio per una Russia sempre più isolata che, ormai estromessa dal mercato globale, avrà come solo interlocutore per prossimità e potenza proprio la Cina. Un Paese che, vista la sua preminenza sui mercati, potrà anche dettare le regole in quello che andrebbe a definirsi, contro le rosee aspirazioni di Putin, un rapporto decisamente asimmetrico.

Nella lettura delle mosse del Dragone, l’affinità ideologica è quindi da affiancarsi alle mire economiche, non una caratteristica subalterna. Xi Jinping insomma ha bisogno di riscrivere parte della narrativa a suo favore per lasciare aperta a Putin la porta dei commerci senza però attirare su di sé le sanzioni che spetterebbero ad un vero e proprio alleato. Per farlo deve quindi necessariamente posizionarsi in quella sottile linea di confine tra denuncia e appoggio tradotta nella nota astensione e nella generica invocazione alla pace e alla diplomazia.

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