Referendum M5S, dalla vittoria del Sì alla votazione della Camera: cosa rischia Salvini

Isabella Policarpio

19/02/2019

Il Referendum M5S ha visto la vittoria del Sì con il 59,05% dei voti, ma l’ultima parola spetta alla Camera. Cosa rischia il Vicepremier in caso di autorizzazione a procedere.

Referendum M5S, dalla vittoria del Sì alla votazione della Camera: cosa rischia Salvini

Attraverso il Referendum online sul caso Diciotti, gli elettori del Movimento 5 Stelle hanno deciso di non voler concedere l’autorizzazione a procedere in giudizio per il Ministro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona aggravato.

Il risultato del Referendum non è vincolante, quindi il destino di Salvini è ancora rimesso alla volontà della Camera che potrebbe comunque votare l’autorizzazione a procedere per far cessare l’immunità parlamentare.

In caso di votazione favorevole, Salvini dovrebbe affrontare un regolare processo con tutte le conseguenze penali che ne derivano.

Il caso della nave Diciotti

In data 7 settembre 2018, al Vicepremier Matteo Salvini è stato consegnato il fascicolo di indagine relativo al caso della nave Diciotti. Infatti, la procura di Palermo ha iscritto il Ministro Salvini nel registro degli indagati con l’accusa di sequestro di persona aggravato, ex articolo 605 del Codice di penale.

Dopo quattro mesi dalla consegna del fascicolo, il 24 gennaio 2019, il Ministro degli Interni ha ricevuto un’altra notifica, con la quale il tribunale dei Ministri di Catania ha richiesto l’autorizzazione a procedere in giudizio.

Infatti, Matteo Salvini, in virtù del suo ruolo, è coperto da immunità parlamentare e pertanto può subire un processo, e le relative conseguenze, solo se la Camera di appartenenza si riunisce per votare l’autorizzazione a procedere.

Sulla votazione le forze politiche in Parlamento sembrano divise: M5S ha dichiarato di voler consegnare Salvini alla giustizia mentre le FdI e Fi si proclamano garantisti e quindi contrari a concedere l’autorizzazione a procedere.

Da parte sua, Matteo Salvini si dichiara pronto ad affrontare un processo. Su di lui gravano le accuse di sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio, puniti con la pena detentiva da 3 a 15 anni.

Come funziona l’autorizzazione a procedere

Come già detto, nonostante sia un esponente del Consiglio dei Ministri, Matteo Salvini può comunque subire un processo, ma solo ad una condizione: la Camera deve votare l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti.

In particolare, l’autorizzazione a procedere fa cadere l’immunità parlamentare di cui Salvini gode per la commissione di reati nello svolgimento delle proprie funzioni, come previsto dalla Costituzione italiana.

L’articolo 96 della Costituzione prevede che l’autorizzazione a procedere debba essere votata dalla Camera di appartenenza del Ministro e, se questo non fosse un parlamentare, la votazione spetta sempre al Senato della Repubblica. Il Presidente della Camera (o del Senato) deve inviare gli atti provenienti dal tribunale dei Ministri alla giunta per l’autorizzazione a procedere, la quale ascolta la posizione del soggetto interessato e riferisce all’assemblea competente con una relazione scritta.

Entro 60 giorni dalla consegna degli atti, la Camera competente si riunisce per effettuare la votazione. Se la maggioranza assoluta dei voti è contraria a concedere l’autorizzazione a procedere il parlamentare non potrà subire un processo di alcun tipo. La votazione delle Camere deve tenere conto del movente che ha spinto il parlamentare a commettere il reato in questione, ovvero se il fatto è stato compiuto per salvaguardare un interesse pubblico oppure no.

Al contrario, se la Camera concede l’autorizzazione a procedere, gli atti acquisiti vengono trasmessi al tribunale dei Ministri per far proseguire il procedimento.

Ci preme sottolineare che durante i procedimenti per i reati ministeriali ci sono delle regole da rispettare: gli inquisiti non possono subire misure limitative della libertà personale, quali le intercettazioni, i sequestri, la violazione del domicilio o della corrispondenza e le perquisizioni personali, a meno che non ci sia l’espressa autorizzazione della Camera di appartenenza. L’autorizzazione non occorre quando il ministro è colto in flagranza di reato nel commettere un delitto che prevede il mandato o l’ordine di cattura.

Le conseguenze penali

Matteo Salvini è accusato dalla procura di Palermo di tre reati, l’arresto illegale, l’abuso d’ufficio ed il sequestro di persona in forma aggravata.

L’arresto illegale (ex articolo 606 del Codice penale) è un provvedimento temporaneo che limita la libertà di un individuo, disposto nei confronti di chi viene colto in flagranza di reato per impedire che il reato venga reiterato. L’arresto avviene da parte della Polizia e deve essere convalidato dal giudice nelle successive 96 ore, altrimenti decade.

Questa accusa a carico di Salvini non sembrerebbe fondata poiché l’arresto non è avvenuto da parte delle Forze di Polizia e, inoltre, non c’è stata alcuna convalida.

L’abuso d’ufficio, invece, è disciplinato dall’articolo 323 del Codice penale ed è la fattispecie di reato commessa dal pubblico ufficiale - o l’incaricato di un pubblico servizio - nello svolgimento delle funzioni o del servizio.

La sanzione per questo reato è la reclusione da 1 a 4 anni, con la possibilità di un aumento di pena se il danno è di rilevante gravità.

Ma l’accusa che desta maggiori preoccupazioni è quella di sequestro di persona poiché l’articolo 605 del Codice penale prevede la reclusione da 6 mesi ad 8 anni. Tuttavia, nel caso in cui il fatto venga commesso da un pubblico ufficiale, la pena può arrivare fino a 10 anni e fino a 15 anni quando il reato è commesso contro minori. A bordo della nave Diciotti c’erano 27 minorenni, dunque Salvini rischia la pena detentiva fino a 15 anni nel massimo.

Le memorie difensive di Salvini

Visti i rischi imminenti, il Ministro Salvini ha presentato le memorie difensive nelle quali si difende sostenendo di aver agito nell’interesse dello Stato. In particolare, le sue argomentazioni si basano su tre punti:

  • il rischio di infiltrazioni terroristiche;
  • la protezione dei confini nazionali;
  • l’assenza di un concreto rischio per la salute dei migranti a bordo.

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