Polonia e Ungheria stanno ostacolando i lavori di Bruxelles sul Recovery Fund. Ecco che cosa rischierebbero se non dovessero rivedere le loro posizioni.
Cosa rischiano Polonia e Ungheria con il loro veto sul Recovery Fund?
Come noto, i due Paesi europei hanno sin qui rifiutato di applicare la condizionalità legata al rispetto dei principi dello Stato di diritto, mettendo di fatto a repentaglio uno strumento di aiuti da 750 miliardi di euro - 209 quelli destinati all’Italia - e rallentando i lavori relativi all’approvazione del bilancio dell’Unione europea.
Lo stallo, unitamente agli annosi negoziati sulla Brexit, rischia di condizionare anche il prossimo Consiglio UE - 10 e 11 dicembre - occasione che vedrà i leader europei confrontarsi sulle sfide politiche, economiche e sociali che attendono il continente nei prossimi anni.
Ecco le strategie al vaglio di Bruxelles per aggirare l’ostruzionismo di Polonia e Ungheria e salvaguardare il principale strumento di aiuti europei.
Recovery Fund: cosa rischiano Polonia e Ungheria con il loro veto
Dalle parti di Varsavia e Budapest c’è la convinzione di riuscire a influenzare il processo decisionale di Bruxelles, ma tra gli osservatori permane una certa sfiducia sulle possibilità di successo di questa operazione: a pagare il conto saranno - come sempre - i cittadini.
La posizione della Polonia e dell’Ungheria, infatti, è debole, e questo si evince anche dalla dipendenza dei due Paesi dai fondi europei: nel 2018, ad esempio, i finanziamenti dell’Unione europea hanno pesato, rispettivamente, per il 3,4% e il 5% del Pil.
È un fatto, inoltre, che il Recovery Fund avrebbe un significativo impatto sulle due economie, grazie a fondi stimati in 30 miliardi di euro per la Polonia e 8 miliardi per l’Ungheria.
Finanziamenti, questi, che l’ostruzionismo dei due Paesi potrebbe compromettere. L’Unione europea, nell’estremo tentativo di mostrare al mondo la propria resilienza e capacità operativa, potrebbe infatti decidere di aggirare il veto creando un nuovo strumento in chiave anti-Covid con i 25 Stati membri che hanno sin qui approvato il lavoro di Bruxelles.
L’operazione è indubbiamente complessa da un punto di vista legale e, inoltre, i tempi sembrano incompatibili con il funzionamento della macchina burocratica europea. Tuttavia, come precedentemente accennato, in ballo c’è molto più del Recovery Fund: azzerando l’impatto del veto di Polonia e Ungheria, Bruxelles sferrerebbe un colpo mortale ai falchi che mirano a condizionare la politica comune del continente per un tornaconto nazionale.
L’intento dell’UE, trapelato negli ultimi giorni, sta già alimentando il dibattito politico a Varsavia e Budapest, dove la cittadinanza è stata persuasa dai rispettivi Governi dell’ostilità delle istituzioni europee verso i due Paesi (vittime, secondo alcuni, dell’ideologia LGBTQ cavalcata da Bruxelles). Tutto questo, a ben vedere, potrebbe dar forza al fuoco anti-europeista di Ungheria e Polonia che già ardeva da tempo sotto la cenere.
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