L’aumento dell’export di gas Usa verso l’Ue spinge al rialzo le tariffe e Total, Shell e Unipec già si muovono per l’inverno. Mentre Snam noleggia una piattaforma. E occhio all’effetto «quote latte».
Sicuramente andrà tutto bene. Sicuramente l’Europa darà seguito all’impegno preso all’ultimo Consiglio e procederà con la pratica del tetto sul prezzo del gas fortemente voluta dall’Italia e inviata sotto forma di tema da svolgere alla Commissione. Sicuramente.
Qualcuno, però, preferisce non perdere tempo. E questi due grafici
mettono in prospettiva quanto stia già accadendo sui mercati.
A fronte di un prezzo del gas liquefatto statunitense (Lng), esploso al rialzo proprio alla luce delle maggiori esportazioni verso l’Ue come compensazione al graduale abbandono delle forniture russe via pipeline, le tariffe di noleggio charter per scafi da trasporto del prezioso materiale liquefatto - e da rigassificare una volta giunto a destinazione - stanno ovviamente seguendo la dinamica della domanda, amplificate però da un palese senso di incertezza attorno all’intera vicenda.
Circa 120.000 dollari al giorno, più del doppio di solo un anno fa.
Ma la cosa più preoccupante, a fronte di un governo che pare aver archiviato la questione dopo il contentino europeo, è la corsa all’accaparramento già in atto da parte dei principali soggetti del comparto energetico. Un anticipo netto rispetto alle normali tempistiche di prenotazione in vista della stagione invernale.
La britannica Shell, ma soprattutto la francese Total e la cinese Unipec, stanno letteralmente razziando ogni disponibilità, addirittura spingendo ben oltre il normale i tempi di noleggio. Total, infatti, starebbe trattando contratti fra i 3 e i 5 anni di affitto, e il no comment opposto dai vertici aziendali alla richiesta di conferma appare implicitamente tale.
Insomma, festa grande per armatori e brokers. Ma guai seri per quei governi che perdono tempo, ritenendo l’orizzonte temporale delle proprie necessità ancora lungo e le riserve stoccate sufficienti.
Attenzione, però, all’effetto quote latte: siamo certi che, in caso la fornitura Usa si rivelasse meno ampia del previsto e lo stop alle forniture russe subisse un drastico e inaspettato anticipo, l’Italia potrebbe contare su quote comuni Ue sufficienti?
La domanda appare tutt’altro che peregrina poiché, a fronte dell’attivismo generale, Snam finora si sarebbe limitata al noleggio di una piattaforma per rigassificazione dalla Golar LNG per 350 milioni di dollari, come confermato a Bloomberg dal suo Ceo, Karl Fredrik Staubo.
Un po’ pochino, al netto delle criticità sottostanti a livello di disponibilità di vessel su piazza. E non basta, perché il prossimo anno è prevista l’entrata in vigore della nuova legislazione sulle emissioni marittime, una tagliola che già oggi gli analisti ritengono in grado di limitare ulteriormente l’offerta a livello di flotta globale.
I cantieri dell’East Asia appaiono decisamente pessimisti sulle tempistiche necessarie per riuscire a rimpiazzare i mezzi fuorilegge con nuovi a impatto conforme alla normativa. E infine, questi due grafici
mostrano la variabile di tutte le variabili. Se infatti l’aumento delle esportazioni di Lng statunitense fa la gioia di armatori e broker, il conseguente balzo del prezzo crea non pochi grattacapi ai consumatori Usa, già alle prese con un’inflazione al massimo da 40 anni e un prezzo della benzina alla pompa giunto alla quota psicologica di 5 dollari al gallone in gran parte del Paese. E a cinque mesi dal voto di mid-term.
Ecco quindi che il primo grafico mostra come l’aumento del prezzo del gas Ue e il calo di quello del Dutch europeo, a fronte dell’eliminazione dal tavolo delle sanzioni sul tema, ha reso molto meno conveniente l’arbitraggio fra prezzi futures che nei mesi scorsi ha spinto i brokers a dirottare verso l’Europa i tankers di Lng diretti in Asia.
Il secondo grafico, poi, mette la questione in chiara prospettiva, mostrando come i futures natgas statunitensi oggi operino in regime di Day-ahead premium su quelli europei. Insomma, meno incentivi per gli Usa a forzare la mano sulle esportazioni, non solo a livello politico interno, a fronte dell’inflazione galoppante, ma ora anche commerciale e finanziario, stante un arbitraggio divenuto inesistente.
Proprio sicuri che il prossimo autunno andrà tutto bene, quando si dovranno fare i conti con i costi del gas e il suo approvvigionamento?
Ma tranquilli, c’è l’opzione africana.
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