Crisi banche, l’Italia non è da sola: il caso del Portogallo

Flavia Provenzani

12/07/2016

L’Italia non è l’unico Paese europeo a vivere una crisi sistemica delle banche. Il caso del Portogallo.

Crisi banche, l’Italia non è da sola: il caso del Portogallo

Dalla scorsa settimana tutti gli occhi dei mercati europei sono sull’Italia, o meglio, sulle banche italiane: istituti di credito attanagliati da 360 miliardi di euro di crediti deteriorati, che dall’inizio dell’anno hanno perso anche il 60% del loro valore in Borsa e che rischiano di mandare in bancarotta l’intero paese.

Tuttavia, l’Italia non è da sola.

A seguito del referendum Brexit i mercati hanno iniziato a chiedersi quali sarebbero state le conseguenze dell’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea per il tallone di Achille dell’Eurozona: le banche italiane.

Ma le banche italiane non sono da sole. All’inizio di questa settimana l’attenzione si è rivolta al Portogallo - e non solo perché ha vinto gli Europei 2016.

Il caso dell’Italia ha ricordato al mercato l’instabilità del settore bancario portoghese, aggravata da un peggioramento del quadro macroeconomico del Paese.

«Il referendum del Regno Unito ha colpito un sistema bancario già vulnerabile nella zona euro. Le banche italiane sono in primo piano, ma la temperatura è in aumento anche in Portogallo»,

ha commentato Marc Chandler, responsabile per la strategia valutaria presso la Brown Brothers Harriman.

«Il paese è alle prese con una crisi bancaria sistemica, la mancanza di un convincente piano di bilancio nel medio termine e il potere eccessivo del settore pubblico e privato»,

aggiunge il team di analisti della Barclays guidati dall’economista Antonio Garcia Pascual.

«Il contesto mette in discussione la capacità del Portogallo di risolvere tutti questi problemi senza l’aiuto di un altro piano di salvataggio».

Il sistema finanziario in Portogallo sta soffrendo: le sue banche sono cariche di crediti deteriorati ed hanno bisogno di liquidità.

«Il sistema bancario portoghese continua ad operare in un ambiente difficile»,

scriveva il FMI in un report del 30 giugno.

«Le banche rimangono in liquidità, ma la scarsa qualità degli asset, i margini di interesse bassi e la lenta crescita dei prestiti rimangono degli ostacoli alla loro redditività. Il processo di risanamento dei bilanci si sta muovendo lentamente e una grande quota degli attivi bancari rimane ancora legata ad imprese a bassa produttività, limitando così la crescita economica».

La Caixa Geral de Depositos del Portogallo ha bisogno di una iniezione di liquidità di 5 miliardi di euro; anche la banca più grande del Paese, la BCP, si trova ad affrontare problematiche simili e potrebbero essere necessari circa 2,5 miliardi di euro, secondo stime di Barclays, per salvarla anche solo momentaneamente dalla crisi.

Il Portogallo ha anche altri problemi all’interno del suo contesto macroeconomico che rendono le cose ancor più difficili: il debito pubblico è di circa il 130% del prodotto interno lordo (anche meglio dell’Italia, il cui rapporto è al 133%), e alcuni analisti ritengono che rimarrà così alto almeno fino al 2020.

Inoltre, il debito del settore privato in Portogallo è di gran lunga più alto rispetto a molti altri paesi europei - perfino più alto di quello italiano, come riscontrabile nella tabella di seguito.

Barclays ritiene che il Portogallo abbia bisogno di un piano di spesa più «realistica» nel medio termine, che sia «coerente con la solvibilità». Per quel che vale, il FMI ha recentemente previsto che il deficit di bilancio del Portogallo ammonterà a circa il 3% nel 2016 - oltre il target del 2,2% - qualora il paese non effettui altri tagli sulla spesa.

Il governo deve affrontare scelte difficili in materia di politiche fiscali e di ricapitalizzazione delle banche. Barclays ritiene vi sia una «possibilità non trascurabile che alcuni dei deputati possano opporsi ad alcuni aggiustamenti di bilancio richiesti dalla Commissione europea». E la Commissione UE ha già altro a cui pensare.

Tutti questi fattori richiedono una risposta politica forte per sostenere i livelli di fiducia interni ed esterni al Portogallo.

Tuttavia, è difficile non essere preoccupati per la capacità del governo portoghese di rispondere a tutte queste sfide.

La performance economica del Portogallo è stata tutt’altro che stellare da quando il governo ha concluso il piano di salvataggio del 2014. Il prezzo del petrolio più basso, la politica monetaria accomodante e la forte crescita della zona euro (e anche della Spagna, il suo principale partner commerciale) non sono riusciti a portare la crescita del Portogallo oltre l’1,5% nel 2015.

E le cose non si stanno mettendo bene per il futuro, con il rialzo della quotazione del greggio e il contesto di incertezza nell’Europa in fase post-Brexit.

Barclays prevede che la crescita del Portogallo scenderà sotto l’1% nel 2016, mentre Citi Group ha evidenziato come, tra i maggiori effetti negativi della Brexit, ci sia proprio un ribasso della crescita dei paesi periferici dell’Eurozona, ovvero Portogallo, Spagna, Italia e Grecia.

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