Un pizzico di sana follia, l’idea vincente e qualche socio che ci ha creduto. Questa in sintesi la formula del successo di “Casa della Salute”, la struttura sanitaria privata ligure da qualche mese acquisita (per il 92.5%) dalla holding Italmobiliare del Gruppo Pesenti.
Marco Fertonani, l’amministratore unico, dieci anni fa era un ciclista professionista. Oggi gestisce 157 dipendenti grazie a quella formula magica che si è inventato: “Un euro meno del ticket”. Un modello nuovo in Italia e ancora unico che ha dato vita al progetto Casa della Salute, oggi parte di Gruppo Pesenti.
Abbiamo incontrato il founder che ci ha raccontato la genesi e la svolta della sua intuizione imprenditoriale. Qui potete leggere l’intervista completa.
Dottor Fertonani, la sua è davvero una storia straordinaria. Ce la racconta?
Ho studiato ragioneria, poi ho interrotto Giurisprudenza perché mi è capitata l’inattesa opportunità di diventare professionista. Sono ancora l’unico caso al mondo di ciclista che da amatore è diventato professionista. Sette anni con le squadre più importanti, un’esperienza straordinaria che ho vissuto come un passaggio, non ho mai pensato fosse il mio mondo. Ho sempre avuto una vocazione al business, ai numeri. Sono molto matematico, qualsiasi scelta la devo quantificare e misurare ed è stata un po’ la mia fortuna. Può essere un limite magari nei rapporti umani ma un punto a favore quando si parla di organizzare e gestire.
E poi cos’è cambiato?
Girando tanto all’estero vedevo cose diverse. In Spagna mi avevano colpito le tante cliniche odontoiatriche low cost. Mi sono interessato e ho visto non che veniva sminuito il lavoro dei professionisti o la loro remunerazione, ma semplicemente si ottenevano risultati organizzando e gestendo i centri come industrie, come fabbriche. Così ho coinvolto tre amici e aperto a Busalla, in provincia di Genova, il primo centro medico. Siamo partiti subito con la mia idea e quindi con la campagna “Un euro meno del ticket". Novembre 2013, un’esplosione, un successo incredibile. Siamo rimasti per quasi due anni aperti fino a mezzanotte sette giorni su sette per smaltire le richieste. Immediatamente abbiamo completato l’offerta con analisi del sangue, fisioterapia, visite specialistiche. Poi siamo arrivati a “giocare con i grandi” entrando a Genova e precisamente nel quartiere di Quarto. Poi eccoci ad Albenga, Multedo, Genova Centro, Manesseno (Ge), Alessandria e Biella. Otto centri in sette anni. Da un dipendente del 2013 a 157 nel 2021.
Quali sono state le chiavi del successo?
Sicuramente l’aver investito tantissimo sulla tecnologia e sull’intelligenza artificiale. Siamo il partner di Google, nel progetto Google healthcare e partner scientifico, sulle ecografie di Esaote. Abbiamo un sistema che controlla e gestisce tutti i processi di “Casa della Salute” da quando un paziente prende il biglietto a quando ritira il referto, da quanti aghi e cerotti vengono consumata in una sede, quanta energia viene consumata in una stanza. Grazie a questo abbiamo la possibilità di gestire e marginare sulle piccole quantità ed è grazie a questo che possiamo uscire con prezzi competitivi. Da noi si entra per merito: è stata assunta una sola persona che conoscevo, il resto dei dipendenti ha fatto un semplice colloquio e poi abbiamo la più alta quota rosa della Liguria: 2/3 delle dipendenti sono donne.
Solo un po’ di follia o qualcosa di più?
Diciamo un bel mix. Essendo un calcolatore ho solo anticipato i tempi con i numeri alla mano: avevo capito che le tariffe stavano e stanno ancora scendendo. Erano gonfiate, si possono abbassare ancora. Basta vedere cosa costava una risonanza dieci anni e cosa costa ora. Faccio sempre l’esempio di Ryanair: guadagna, è puntuale e crea posti di lavoro: è una questione organizzativa. Il personale qui è abituato a stare sul pezzo, ogni settimana devono portare risultati. Qui ognuno di noi è operativo, abbiamo internalizzato tutto, anche la contabilità, la parte legale e la parte sviluppo e progettazione, tutto questo per standardizzare e per accelerare i processi e ridurre i costi.
Il sostegno dei soci è stato determinante?
Assolutamente sì. Quando ho presentato il progetto ci hanno subito creduto fortemente. Tre soci che poi sono diventati dieci nel tempo. Come amministratore unico ho sempre coinvolto tutti anche se poi certe decisioni le prendevo da solo. C’era un rapporto di fiducia reciproca, siamo diventati un bel gruppo di amici, amici veri. Gran parte del merito va anche a loro. Io ho avuto l’idea “folle” ma loro sono stati bravi a venirmi dietro. Una volta ho fatto un aumento di capitale di due milioni mandando dieci messaggi...Con la fiducia degli altri è facile lavorare bene.
Il momento più difficile?
Quando per colpa della burocrazia non riuscivamo ad aprire centri. Abbiamo perso un anno, tutto pronto e personale assunto ma eravamo fermi.
Poi l’exit di qualche mese fa.
Negli ultimi tempi in tanti hanno bussato alla mia porta per acquisire l’azienda, alla fine abbiamo chiuso con il Gruppo Pesenti che ci ha dimostrato qualcosa in più soprattutto dal punto di vista morale. I soldi sono importanti ma non sono tutto. L’ingegner Pesenti mi ha detto una frase che mi ha colpito molto: “Noi facciamo del bene, tutti possono accedere alle nostre strutture perché la nostra è una sanità socialmente sostenibile, dal punto di vista etico questo mi appaga”.
Quindi lei è rimasto. Una bella soddisfazione?
Indubbiamente. Mi hanno “bloccato" per cinque anni perché hanno capito che siamo solo all’inizio e che posso ancora dare molto. Mi stanno dando supporto incredibile ma non entrano mai a gamba tesa nelle decisioni, anzi. Pur essendo grandi finanzieri mi lasciano decidere le strategie e mi hanno addirittura lasciato immutato tutto il mio staff. Entro l’anno apriremo anche a Chiavari, La Spezia, Savona e tre a Torino. Il bello deve ancora venire.
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