Una crisi in cui si continua a porre l’accento sul ruolo giocato dal debito pubblico senza prendere minimamente in considerazione il debito privato che è di dimensioni molto maggiori del primo.
L’attuale crisi economica è sempre stata descritta come una crisi di debito pubblico. Una crisi in cui l’elevata spesa degli Stati avrebbe portato ad accumulare degli stock di debito troppo elevati che, così, avrebbero raggiunto un livello insostenibile per l’economia, “guidando” un crollo della stessa e della sua crescita. Purtroppo ci si dimentica spesso che, invece, l’attuale crisi economica è più figlia, o figliastra, di una crisi finanziaria - e perciò del settore privato - esplosa nel 2008, ma alimentata per un buon decennio con una bolla del credito; che i mutui sub-prime, “impacchettati” in obbligazioni collaterali di debito, con rating da tripla A “falsi e comperati”, e poi venduti come titoli sicuri ad ignari investitori con annesse scommesse sul loro fallimento tramite i derivati, erano tutta “roba” del settore privato e non pubblico; e che tutto questo ha poi “trasfuso” i suoi effetti nell’economia reale.
Per chi non fosse convinto che questa è una crisi di debito privato e non pubblico, ricordiamo che i bilanci delle banche e delle istituzioni finanziarie in generale - private - sono stati “salvaguardati” in America, ma anche in Europa, proprio con soldi pubblici. Infatti, lo stesso Presidente di Confindustria G. Squinzi, oltre un anno fa, nel corso del suo intervento all’assemblea annuale di Assolombarda, aveva dichiarato: «Siamo entrati in questa crisi dopo che tutti gli altri Paesi erano in difficoltà sul debito privato e trasformavano il debito privato in pubblico”, e poi, “solo per l’Italia è valsa la valutazione, con conseguenti decisioni, di un alto debito pubblico preso asetticamente». Per cui, i paesi che avevano un basso rapporto debito/PIL (per es. Spagna e Regno Unito, ma in parte anche l’Irlanda) hanno anche avuto un margine di manovra che gli ha permesso di affrontare la crisi con strumenti migliori della sola austerità o dei semplici tagli.
Invece, il più delle volte si tende a valutare il solo debito pubblico, in modo asettico e, tra l’altro, come “fattore” meramente negativo, ed a ignorare il debito privato senza né menzionarlo né prenderlo minimamente in considerazione; quasi come ci fosse una distinzione tra un debito pubblico “brutto”, causa di tutti i mali, ed un debito privato “invisibile” che, restando “nascosto”, non è un problema. Di poi, pertanto, mentre il problema viene sempre visto nel debito pubblico, sembra invece che anche il debito privato abbia avuto un ruolo e, se a questo sommiamo che, generalmente, il debito privato è anche più alto del debito pubblico, ne deriva che considerare anche lo stesso debito privato quando si valutano i parametri macroeconomici di un paese parrebbe essere una scelta obbligata.
E per valutare perciò anche il debito privato, che solitamente, come appena detto, è molto più alto del debito pubblico, astraendo così da una mera verifica “asettica” che prende in considerazione solo quest’ultimo, ci riferiamo ai dati, alle definizioni ed ai grafici, dell’OSCE. E verifichiamo il debito privato dell’Italia in relazione agli altri paesi che compongono i PIIGS, ad alcuni paesi “nordici”, ed alle maggiori economie dell’Europa. Attenzione! la definizione di “debito del settore privato” dell’OCSE, per il “dataset” da cui attingeremo, è quella utilizzata dal Fondo Monetario Internazionale; e differisce dalla definizione di debito applicata nei paesi europei in virtù del Trattato di Maastricht. Infatti, quest’ultimo esclude dal calcolo del debito privato non solo i derivati finanziari – come il FMI – ma anche altre voci; ed inoltre, le valutazioni sono a prezzi nominali e non di mercato.
Grafico I – debito del settore privato in percentuale del PIL nei PIIGS
Grafico II - debito del settore privato in percentuale del PIL in Italia, Francia, Germania, UK e USA
Grafico III - debito del settore privato in percentuale del PIL in Italia ed alcuni paesi nordici
Possiamo notare, con una valutazione d’insieme dei tre grafici, che il paese che ha il più basso livello di debito privato in percentuale del PIL è la Grecia. Si, la Grecia degli indolenti e fannulloni mediterranei; che saranno anche quelli che a detta di qualcuno non sono abbastanza flessibili, ma che, tra i paesi presi in considerazioni, sono quelli con il minor debito privato. Sul secondo gradino del podio, come paese con minor debito del settore privato in percentuale del PIL troviamo la Germania, mentre al terzo posto l’Austria; appena fuori dal podio l’Italia. Ma se guardiamo un attimo meglio, vediamo che ad inizio anni ’90 Austria ed Italia erano in posizione migliore della Germania, che ha visto un forte abbassamento del debito privato principalmente dopo il 2003, ma che solo dopo il 2006 è scesa sotto il livello delle prime due. Per il resto, tutti gli altri paesi presi in considerazione, dai restanti PIIGS, alla Francia, gli USA, ecc. ecc. hanno un debito del settore privato in rapporto al PIL superiore a quello dell’Italia.
Dato quanto visto, pertanto, se si volessero valutare lo “stato” dell’economia di un paese e la sua “credibilità”, non solo dal punto di vista del debito pubblico – cosa abbastanza strana tra l’altro, quasi ci fosse veramente una linea di confine tra vizio e virtù, ed in cui il debito pubblico è il vizio e quello privato la virtù – ma anche dal punto di vista del debito privato, l’Italia non potrebbe essere annoverata che tra i paesi con il più basso debito privato; e quindi tra i paesi “virtuosi”. Invece, abbiamo visto finire nel “mirino” proprio il paese con il più basso livello di debito privato (la Grecia) e l’Italia; e proprio in base a valutazioni molto limitate e con un modus operandi propagandistico, di imputare le colpe e imporre i rimedi, che utilizza, di volta in volta, il parametro macroeconomico di riferimento, ma che bisognerebbe dire, per come viene utilizzato, il parametro di “comodo”, che preso da solo meglio supporta l’esigenza del momento. E guarda caso, l’esigenza è sempre quella di scaricare le responsabilità ed i costi verso… i PIIGS.
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