La casa francese, partecipata statale, torna a sfornare Duster, Kaptur, Arkana e Terrano. Incurante delle sanzioni. E se l’India acquista petrolio russo col badile, Kiev ci detta l’agenda turistica
Ognuno è libero di pensare ciò che vuole rispetto alla crisi ucraina ma quanto avvenuto stamattina va ben oltre il rituale. Perché se da un lato il presidente Zelensky nel suo discorso alle Camere italiane si è spinto a chiedere un boicottaggio del turismo russo la prossima estate, Mario Draghi ha apertamente scavalcato il mandato conferitogli dai Parlamento sul tema. Perché l’opzione italiana di ingresso di Kiev nell’Ue, sottolineata con forza dal presidente del Consiglio a due giorni da un vertice europeo, va al di là di quanto le forze politiche abbiamo discusso e concordato, sia in Aula che nelle Commissioni. Di fatto, Palazzo Chigi ha definitivamente indossato l’elmetto, portando il nostro Paese allo scontro frontale con Mosca.
Nel frattempo, qualcuno sta invece portandosi avanti con il lavoro e capitalizzando quello che già oggi appare un suicidio politico, diplomatico ed economico del nostro Paese. Infischiandosene bellamente delle sanzioni, Renault ha infatti comunicato di aver ripreso la produzione nel suo stabilimento di Mosca. Di più, rispondendo a una domanda al riguardo avanzata dalla Reuters, la casa automobilistica francese ha chiaramente specificato la natura del suo stop temporaneo all’output: cambiamenti forzati nelle attuali rotte di logistica. Tradotto, problemi squisitamente tecnici. Da ieri, quindi, sono tornate a essere prodotte Renault Duster, Kaptur e Arkana, oltre alla Nissan Terrano.
E se qualcuno pensasse che la decisione sia meramente temporanea e passibile di repentini cambiamenti, in caso di ulteriore escalation militare, meglio che accantoni subito la convinzione. Un portavoce della casa automobilistica ha infatti legato la durata del ritorno all’attività unicamente all’accessibilità verso la componentistica, tanto da aver confermato come ad esempio la controllata Lada abbia bloccato l’output nelle fabbriche dell’ex Togliattigrad e di Izhevsk. Giova ricordare come Renault sia parzialmente controllata dallo Stato francese, quindi appare palese come la decisione di ritorno all’operatività in Russia goda dell’esplicito via libera dell’Eliseo.
Insomma, l’altra metà del Patto del Quirinale pare più interessato allo scippo di quote di mercato in un settore chiave e in enorme sofferenza che alla difesa a oltranza di Kiev. Il presidente Zelensky, infatti, dopo aver incassato gli applausi di rito di un Bundestag tedesco più irritato e preoccupato che appassionato dal tema e la rabbia della Knesset per la sua spericolatezza negli accostamenti storici, certamente non ha goduto all’Assemblea nazionale del medesimo clima da stadio garantitogli a Roma. E la mossa di Renault spiega chiaramente il perché, unita alla preoccupazione che alberga in queste ore a Parigi per il rischio di un’esplosione di violenza in Corsica, dopo la morte alquanto oscura del leader indipendentista Yvan Colonna e gli scontri degli scorsi giorni.
E se tutto questo non bastasse, questi due grafici
mostrano come un gigante demografico (e atomico) come l’India stia platealmente infischiandosene delle sanzioni. Il ministro del Petrolio di Niuova Delhi, Hardeep Singh Puri, ha infatti confermato come Hindustan Petroleum Corporation, Mangalore Refinery, Petrochemicals Ltd. e Bharat Petroleum Corporation abbiano già acquistato o siano in trattativa per grossi quantitativi di greggio degli Urali, il cui sconto sul Brent ha raggiunto ormai l’area dei 30 dollari a barile. La Russia sta offrendo petrolio e altre commodities con un fortissimo incentivo sul prezzo e noi siamo felici di acquistarli, ha confermato la fonte governativa indiana a Bloomberg.
E se allo studio ci sarebbe già oggi addirittura l’opzione di bypass sul dollaro rispetto al pagamento di quei barili, utilizzando almeno in parte rupie, ecco che la seconda immagine mostra come New Delhi sia il principale acquirente di armamenti dalla Russia. Se per caso anche il comparto warfare dovesse veder sviluppare una de-dollarizzazione, magari triangolata con la Cina e con cross-assets su rupie e yuan, gli equilibri cambierebbero. E molto. Nel frattempo, Roma pare farsi dettare l’agenda della stagione turistica post-Covid da Kiev.
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