È morto Niki Lauda, il computer con il coraggio di avere paura

Andrea Tartaglia

21/05/2019

Niki Lauda, tre volte campione del mondo di F1, imprenditore e dirigente sportivo, è morto all’età di 70 anni in una clinica svizzera. Il ritratto di un mito delle corse.

È morto Niki Lauda, il computer con il coraggio di avere paura

Niki Lauda è morto nella notte tra il il 20 e il 21 maggio in un ospedale svizzero, dove era ricoverato. È stata la famiglia del pilota tre volte campione del mondo di Formula 1 ad darne notizia con un comunicato: “Con profonda tristezza, annunciamo che il nostro amato Niki è morto pacificamente con la sua famiglia lunedì scorso”.

Lauda era ricoverato in clinica privata per curare i problemi ai reni che lo affliggevano e si stava sottoponendo a dialisi. La scorsa estate aveva subito un trapianto di polmoni, quegli stessi che avevano respirato i vapori tossici della benzina durante l’incendio seguito all’incidente al Nürburgring nel 1976.

È stato uno dei piloti che hanno fatto la storia delle competizioni. Veloce, meticoloso e per nulla incline a cedere allo spettacolo se questo poteva costargli anche un solo decimo di secondo. Soprannominato “il computer” per la sua capacità di analizzare i dati quando la telemetria era ancora lontana, è stato il pilota più moderno della sua epoca.

È stato anche un pilota molto attento alla sua immagine, dalla mentalità imprenditoriale capace di creare un piccolo impero economico. Parlava senta troppi filtri, con una franchezza che - anche in epoca recente - dava parecchio fastidio. Ebbe “il coraggio di avere paura” quando si ritirò nel diluvio del Fuji del 1976.

Niki Lauda, la vita di un campione

Austriaco, nato a Vienna 70 anni fa, Niki Lauda è stato tre volte campione del mondo di Formula 1 (nel 1975 e 1977 con la Ferrari, nel 1984 con la McLaren), imprenditore (ha fondato due compagnie aeree: Lauda Air e Niki) e dirigente sportivo, prima in Jaguar e dal 2012 come presidente non esecutivo di Mercedes AMG F1.

Un carriera costellata di successi: 171 GP disputati, con 25 vittorie, 54 podi, 24 pole position e altrettanti giri veloci. Un totale di 420,5 punti accumulati e tre titoli mondiali piloti. Ha guidato per March, BRM, Ferrari, Brabham e, infine, McLaren.

Il suo era uno stile di guida pulito ma tremendamente efficace. Mauro Forghieri, ingegnere progettista e storico direttore tecnico Ferrari, di lui disse: “Noi sapevamo che se davamo a Niki una macchina decente, poteva anche vincere. Se gliene davamo una ottima, vinceva di sicuro”.

Il 1º agosto 1976, durante il Gran Premio di Germania sul circuito del Nürburgring, Niki Lauda ebbe il grave incidente che quasi gli costò la vita. Nonostante le gravi ferite tornò quasi subito alle corse, dalle quali si ritirò due volte: la prima tra il 1979 e il 1981 - periodo nel quale fondò la Lauda Air - e la seconda, definitiva, nel 1985.

Poi le esperienza come imprenditore e come dirigente sportivo. In particolare di Mercedes AMG F1 - della quale era anche azionista - che ha seguito spesso direttamente sui circuiti. Nel 2013 fu Lauda a spingere per ingaggiare Lewis Hamilton, e nelle ultime stagioni lo abbiamo visto spesso al fianco di Toto Wolff nella gestione del team.

Il coraggio di avere paura

L’incidente di Niki Lauda al GP di Germania del 1976 è uno dei più celebri e drammatici della F1. La Ferrari del pilota austriaco - già campione del mondo nella precedente stagione - sbandò colpendo una roccia e incendiandosi, con il pilota intrappolato nell’abitacolo. Solo l’intervento di altri piloti, fra i quali Arturo Merzario, gli salvò la vita.

Pur avendo riportato terribili ustioni, Lauda tornò in gara al GP d’Italia 42 giorni dopo l’incidente, correndo con le ferite sanguinanti sotto il casco. Al Fuji - nell’ultima gara della stagione valida per il GP del Giappone - Lauda si giocò il titolo con James Hunt. Sotto una pioggia torrenziale, la direzione gara dapprima decise di non correre, poi - all’ultimo minuto - cambiò idea.

Lauda ne fu spiazzato ma si mise lo stesso al volante della sua Ferrari. Dopo un solo giro rientrò ai box ritirandosi, ammettendo di non essere in grado di andare avanti. Nonostante la proposta di Forghieri di usare come scusa un problema elettrico, Lauda volle prendersi la paternità e la responsabilità del ritiro.

Spiegando la propria scelta, Lauda parlò del “coraggio di avere paura”. Parole che non piacquero ad Enzo Ferrari, tanto che quell’episodio segnò l’inizio delle frizioni tra la Casa di Maranello e il campione austriaco, che lo porteranno a lasciare la Ferrari nel 1977, dopo il secondo titolo mondiale.

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