La Food and Drug Administration ha chiesto fino al 2076 per pubblicare - in base al Freedom of Information Act - i documenti che hanno portato all’approvazione. Poi non lamentiamoci dei complottisti
Uno dei grandi miti da sfatare è quello del Freedom of Information Act statunitense. Nato nel 1967 come strumento di trasparenza assoluta delle istituzioni nei confronti dell’opinione pubblica, ad oggi e a tal fine ha sortito le medesime conseguenze della Commissione Warren nello svelare la verità sull’omicidio di John Fitzgerald Kennedy: buio totale. D’altronde, basti pensare al precedente relativo alle responsabilità saudite nell’11 settembre per rendersi conto di come anche la libertà di informazione abbia dei limiti invalicabili, al netto delle buone intenzioni.
Sarà forse per questa amara consapevolezza che i media italiani si sono ben guardati dal rendere noto quanto accaduto lo scorso 18 novembre, quando la mitologica Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha reso nota la propria risposta ufficiale a una richiesta di chiarimenti intimata dalla Corte di giustizia del distretto del Northern Texas. A sua volta, mossa da una causa legale intentata lo scorso settembre dalla Public Health and Medical Professionals for Trasparency (PHMPT) contro la FDA. E cosa chiedeva l’associazione in questione all’Ente che autorizza la commercializzazione dei farmaci negli Usa, previa attestazione di efficacia e sicurezza? Di dare corso appunto alla promessa di fornire con la massima trasparenza tutti i dati che la portarono nel breve arco temporale di 108 giorni ad autorizzare il vaccino Pfizer contro il Covid.
A muovere un sollecito, in ossequio appunto al Freedom of Information Act, fu lo scorso agosto non un gruppo no-vax ma una trentina di accademici, professori e scienziati delle più prestigiose università statunitensi. Non ricevendo risposta, a settembre la PHMPT intentò la causa. Il 18 novembre, la FDA ha risposto. E sapete quanto tempo ha chiesto per fornire al pubblico la documentazione che attesterebbe, di fatto, sicurezza ed efficacia del vaccino Pfizer? Fino al 2076. Ovvero, 55 anni. Il motivo? Il materiale sarebbe talmente tanto (oltre 329.000 pagine di documenti Pfizer) da non poter essere prodotto al pubblico in numero superiore alle 500 pagine al mese.
Ora, siamo chiari. La situazione nell’inverno 2020 era terrificante e quando in novembre le case farmaceutiche, una dopo l’altra, resero noto al mondo che i vaccini erano pronti in fase sperimentale, tutti tirammo un sospiro di sollievo. Quindi, il fatto che la FDA possa aver chiuso un occhio sull’accuratezza dei trials può essere giustificato dal numero di infettati, malati e morti in tutto il mondo. Il classico e cinico calcolo costi-benefici, insomma. Necessario in situazioni di emergenza. Qui però la questione è differente. Non stiamo parlando dell’autorizzazione alla somministrazione emergenziale e sperimentale, qui parliamo dalla richiesta di via libera ufficiale inoltrata da Pfizer il 7 maggio 2021 e fornita dalla FDA il 23 agosto 2021. Appunto, 108 giorni.
Di fatto, almeno stando alla risposta appena fornita alla Corte del Northern Texas, necessari ma anche sufficienti per esaminare - in questo caso con massima scrupolosità, stante la campagna vaccinale con profilo emergenziale già in atto - oltre 329.000 pagine di documenti forniti da Pfizer. Ora, invece, servono 55 anni, affinché quegli stessi documenti possano essere resi pubblici. E anche qui, evitiamo patetiche affermazioni di principi di democrazia diretta: quei dati non servono per l’opinione pubblica, bensì per quella trentina di accademici che ha avanzato la prima richiesta. Gente in grado di capire ciò che legge, senza bisogno di intermediazione o traduzione dei media.
E a confermare il fatto che la questione sia tutt’altro che ascrivibile alla mera e pachidermica mole di documentazione, ci ha pensato implicitamente la Reuters, pubblicando il giorno stesso un articolo dal titolo inequivocabile: Wait what? FDA wants 55 years to process FOIA request over vaccine data. Perché la cosa stupisce? Perché l’ex presidente della Thomson Reuters Foundation, Jim Smith, oggi siede nel consiglio amministrazione proprio di Pfizer. Sarà perché fiutava l’aria pesante in arrivo che il 16 novembre, due giorni prima della sconcertante risposta della FDA, la medesima Pfizer ha reso nota la decisione di consentire la versione generica della pillola anti-Covid in 95 Paesi?
Dietrologia e complottismo sono bruttissime patologie dell’animo umano. Ma per sconfiggerle, in realtà, basta poco: la trasparenza. Se questa manca, troppo facile - e un po’ sospetto - gridare di default contro i terrapiattisti.
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