Il Giudice del Tribunale di Reggio Emilia ha emesso una sentenza con effetto immediato per far cancellare dei post offensivi presenti su Facebook contro un’azienda individuale.
Al Giudice è concessa, anche in via cautelare, la cessazione e rimozione di post su Facebook con contenuti diffamatori.
Una tutela contro la calugna e la diffamazione su Facebook
E’ prevista anche il pagamento di una multa chi, obbligato a cancellare il post diffamatorio, viola la disposizione o ritarda nell’effettiva cancellazione.
Questo è quanto ha deciso il Tribunale di Reggio Emilia con provvedimento emesso un mese fa, accogliendo la domanda del ricorrente.
La fattispecie è venuta a crearsi sulla bacheca Facebook di due utenti, sulla quale erano comparsi numerosi post di carattere offensivo nei confronti di un’azienda individuale.
Il titolare dell’azienda in questione si è rivolto al Tribunale, dove il Giudice ha portato, attraverso un procedimento speciale, all’immediata cessare della violazione del sommario ex articolo 700 C.p.c..
Posta un’attenuante sull’uso improprio dei social network
La gravità dell’offesa delle affermazioni è sconosciuta, ma la sentenza rappresenta comunque un’attenuante dell’utilizzo, in questo caso sregolato, dei social network da parte degli utenti.
Quello che traspare dal forte tenore della motivazione è che si trattasse di veri e propri insulti, apportando un rilievo non indifferente all’accusa di diffamazione posta sul tavolo del Giudice.
Oltre al relativo tenore delle affermazioni, un’altra componente della sentenza a favore dell’azienda è stata la mancanza di contraddittorio, con il magistrato che ha assunto la tesi dell’unica parte presente in aula.
Possibile illiceità della sentenza del Giudice
L’utilizzo dello strumento giudiziale per cessare le pubblicazioni offensive si presta però a delle perplessità.
Un provvedimento di questo tipo, sia pure formalmente immotivato, si presta per forma ad un vero e proprio sequestro.
L’effetto per eliminare per via giudiziaria un messaggio dal circuito dell’informazione prima che una sentenza definitiva ne attesti l’illiceità, rientra nella modificazione ingiustificata della sfera personale dell’imputato.
Sull’intervento che miri a modificare il contenuto di pubblicazioni l’ex articolo 700 C.p.c. non può essere concesso se non nei ristrettissimi limiti previsti dalla Costituzione e dalle leggi.
Per esempio apologia di fascismo, stampa oscena e i casi più gravi di plagio.
Il 29 gennaio 2015 la Cassazione a Sezioni Unite sembra aver cambiato la lunghezza del raggio d’azione della suddetta legge almeno per le condotte commesse all’interno di giornali online registrati.
E’ dunque molto probabile che nel prossimo futuro, ricorrendo in appello, il condannato possa far decadere gli effetti della sentenza.
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