Geneve Invest spiega il dietrofront della Federal Reserve sull’aumento dei tassi di interesse.
La Federal Reserve (Fed) americana sembrava sino a qualche mese fa molto determinata a promuovere un rialzo dei tassi atteso già da diverso tempo: è dello scorso dicembre la dichiarazione ufficiale dei responsabili della politica monetaria di Washington in cui si prevedevano addirittura tre aumenti nel corso del 2019.
Un indebolimento inatteso dell’economia ha però bloccato il progetto, con la banca centrale statunitense che sembra adesso intenzionata ad invertire diametralmente la rotta, tagliando i tassi. Per addentrarci nel dettaglio delle dinamiche alla base del dietrofront della Fed abbiamo chiesto agli analisti di Genève Invest, società di gestione patrimoniale indipendente con sede a Ginevra e Lussemburgo, di riassumere il quadro della situazione.
“Il Federal Open Market Committee (FOMC) della Fed ha deciso di mantenere invariati i tassi di interesse in un intervallo compreso tra il 2,25% e il 2,50% - spiega dall’ufficio di Ginevra di Genève Invest Omar Liverani, Portfolio Manager - e di aspettare gli sviluppi economici e finanziari delle pressioni inflazionistiche globali. Il punto è che le previsioni di rialzo dei tassi erano state realizzate senza tenere adeguato conto di un quadro economico che, in maniera in parte inattesa, ha visto un rallentamento nel quarto trimestre del 2018 dell’economia USA, con un un’inflazione in calo, a causa dell’impatto dei prezzi in discesa dell’energia. Dai numeri che si possono analizzare, sembra abbastanza chiara ormai l’intenzione - continuano da Geneve Invest - di chiudere il 2019 con percentuali dei tassi comprese tra il 2,4% e il 2,6%, rispetto alla forchetta tra il 2,6% e il 3,1% stimata a dicembre.
D’altronde, in questo contesto non bisogna dimenticare che Fed ha abbassato anche le previsioni sul costo del denaro per il 2020, ora tra il 2,4% e il 2,9%, cinque decimi in meno rispetto alle precedenti stime, così come sono al ribasso sia le indicazioni di crescita per il 2019, al 2,1%, due decimi in meno rispetto alle percentuali presentate a dicembre, che quelle relative all’aumento del PIL, ridotte di un decimo, all’1,9%, per il 2019. Sono queste, fondamentalmente, la ragioni per le quali la Fed ha deciso di mantenere una linea attendista sul fronte del rialzo dei tassi”.
A giocare un ruolo sul blocco sono anche le previsioni sull’evoluzione del tasso di disoccupazione, cresciute di due decimi, al 3,7%, negli ultimi mesi. Dopo un inizio promettente, l’esecutivo guidato dal presidente Donald Trump sta infatti facendo i conti con un mercato del lavoro molto più bloccato, che incide in maniera rilevante anche sull’indice dei prezzi al consumo, ridottosi all’1,5%, la crescita più bassa registrata da settembre 2016.
“Un elemento interessante da sottolineare rispetto alla decisione di non aumentare, per il momento, i tassi, riguarda l’impatto diretto sui mercati emergenti, soprattutto sulle economie asiatiche, che da un lato potranno avvantaggiarsi dell’attendismo della Fed - spiega ancora Liverani di Geneve Invest - dall’altro dovranno fronteggiare il rallentamento della crescita del commercio globale facendo affidamento sulla domanda interna, che richiede investimenti, e dunque un livello più alto di programmazione. In ogni caso - concludono da Geneve Invest - i tassi statunitensi più bassi permetteranno a queste economie di gestire deficit di conto corrente più ampi, mantenendo dunque possibilità di investimento elevate.”
Un rialzo dei tassi da parte della Fed, magari nell’ultimo trimestre del 2019 e legato a un aggiornamento dei dati su crescita e disoccupazione, non è comunque da escludere: diversamente, sarebbe la prima volta dal 2014 che la banca centrale americana sceglierebbe di mantenere invariati, o al ribasso, i tassi per un intero anno.
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