Geneve Invest spiega i motivi della frenata economica della Germania nel 2018.
L’economia tedesca ha subito una battuta d’arresto nel quarto trimestre del 2018. Abbiamo quindi chiesto agli esperti di Geneve Invest, società di gestione patrimoniale indipendente operante in tutta Europa e con sede in Svizzera e Lussemburgo, di analizzare i motivi della frenata della Germania e le ricadute del rallentamento tedesco sulla crescita complessiva dell’Unione Europea.
“Nonostante le ininterrotte crisi economiche che si sono abbattute sui paesi UE dal 2008 in avanti, la Germania è sempre riuscita a mantenere un costante percorso di consolidamento, con percentuali di crescita che dal 2014 in avanti si sono sempre attestate intorno al 2,0% del PIL - spiega Marialaura Pompilio di Geneve Invest.
“Il calo registrato nel 2018, a un passo dalla recessione, interessa tutta l’UE ed è legato, principalmente, alla diminuzione delle esportazioni. Dal 1995 ad oggi - continuano da Geneve Invest - le esportazioni tedesche sono letteralmente esplose, arrivando, nel 2017, a costituire il 47% della bilancia commerciale di Berlino, per un ammontare di 1,279 miliardi di euro, numeri che hanno permesso alla Germania di posizionarsi dietro Stati Uniti e Cina come terzo paese esportatore al mondo. A partire da questi dati è facile comprendere come anche il minimo rallentamento abbia un impatto immediato su un’enorme porzione di lavoratori e di imprese tedesche: di fatto, circa la metà dell’economia in Germania fa affidamento sulla domanda creata in altri paesi, per cui, nel momento in cui altre economie smettono di fornire quella domanda, per motivi economici o politici, il bilancio tedesco subisce un immediato contraccolpo”.
“Nello specifico” - concludono il concetto da Geneve Invest - nel 2018 la Germania ha subito sia i dazi imposti dal presidente statunitense Trump sull’acciaio, che hanno tagliato la richiesta americana di prodotti siderurgici tedeschi, che il rallentamento dell’economia cinese, fermatasi a una crescita del 6,6%, la più bassa in 30 anni: questi due paesi, rispettivamente primo e terzo partner commerciale della Germania secondo i dati aggiornati al 2017 (il secondo è la Francia) costituiscono una fetta molto importante dell’export tedesco”.
Gli analisti di Bank of America Merrill Lynch, Evelyn Herrmann e Gilles Moec, in una nota inviata ai loro clienti indicano fra le ragioni principali della difficile annata tedesca:
- un improvviso calo del 18% delle esportazioni di prodotti farmaceutici in Irlanda (0,5% del PIL)
- i dazi commerciali statunitensi (0,6% del PIL)
- il rallentamento della domanda cinese (che valeva 20 punti base di crescita nel 2017)
- l’indebolimento del valore dello yuan cinese
- una produzione manifatturiera in calo dell’1,7%
- la debolezza del settore automobilistico
- i problemi che BASF, una delle più grandi compagnie chimiche al mondo, ha dovuto affrontare a causa della riduzione dei livelli d’acqua del Reno, che hanno impedito alle fabbriche di rifornirsi d’acqua e pieno regime e, di conseguenza, inficiato in maniera molto pesante i ritmi di produzione.
In pratica, una serie di problemi economici e politici registratisi in altri paesi hanno contribuito a privare la Germania della domanda per le sue esportazioni. Non è certo però questa l’unica ragione del rallentamento tedesco: un’economia avanzata come quella della Germania dovrebbe avere la capacità di sostenere incidenti di percorso di questo genere, trovando la maniera di creare domanda tramite, ad esempio, la spesa sul deficit, per stimolare l’economia interna, oppure attraverso una politica monetaria più flessibile, che incoraggi la creazione di posti di lavoro e il rilascio del credito.
“La flessione della crescita tedesca nel 2018 ha esposto, per la prima volta da anni, le debolezze di una cultura politica ed economica, quella imposta dalla Germania, che sostenendo in maniera rigida il contenimento dell’inflazione, un controllo attentissimo alla spesa pubblica e una politica monetaria di austerity nell’area euro, ha limitato la possibilità di supplire con la risposta interna nel momento in cui le esportazioni hanno subito un calo inatteso (e comunque fisiologico)”, spiega ancora Marialaura Pompilio di Geneve Invest.
“I deficit di bilancio molto contenuti, o addirittura, recentemente, i surplus, che hanno contraddistinto l’andamento economico della Germania, da un lato hanno garantito grande solidità strutturale, ma dall’altro hanno frenato la crescita del mercato interno, rendendo l’economia della Germania dipendente dalle esportazioni”, continuano da Lussemburgo gli analisti di Geneve Invest.
“Tutto ciò ha un costo notevole, perché per mantenere competitivi i propri prodotti verso i paesi importatori, le aziende tedesche devono contenere i costi, il che molto spesso ricade sui redditi dei lavoratori, con conseguenze dirette sulla spesa, e quindi sui volumi, del mercato interno: secondo i dati dell’istituto di statistica di Stato in Germania, Destatis, per il 40% dei tedeschi - spiegano ancora da Geneve Invest - i salari reali effettivi sono diminuiti negli ultimi due decenni, con un incremento del tasso di disuguaglianza e un aumento del tasso di povertà, con 15.5 milioni di persone che vivono in condizioni di difficoltà”.
Il ministro dell’economia tedesco Peter Altmaier, entrato in carica nel marzo 2018, aveva dichiarato, appena insediato, che la Germania sarebbe cresciuta, già dal 2018, dal 2 al 2,5 per cento all’anno. A dodici mesi di distanza, il rapporto economico annuale del ministero di Altmaier ha ridotto quelle stime, con previsioni di crescita che per il 2019 rientrano in una percentuale inclusa fra l’1 e l’1,8 per cento. L’obiettivo di crescita della Germania è dunque inferiore alle stime originali, ma in ogni caso ben sopra le prospettive di molti paesi partner europei, fra cui, ad esempio, l’Italia.
A creare un’ulteriore difficoltà all’economia tedesca potrebbe infatti essere la cosiddetta “no-deal Brexit”. In caso di uscita della Gran Bretagna dalla UE senza un accordo economico, la Germania vedrebbe indebolito un altro partner commerciale molto importante: l’Institut der deutschen Wirtschaft (IW, l’Istituto Economico Tedesco), un gruppo di esperti liberali, stima che gli esportatori tedeschi si troverebbero ad affrontare dazi aggiuntivi pari a quasi 3,8 miliardi di dollari qualora il Regno Unito lasciasse l’Unione Europea senza siglare un accordo commerciale.
“Nel peggiore dei casi queste nuove tasse potrebbero portare alla riduzione delle esportazioni tedesco-britanniche di oltre il 50%”, ha dichiarato il direttore di IW Michael Huther ad Al Jazeera. “Poiché il volume di queste esportazioni costituisce il 2,6% del PIL tedesco, l’impatto sull’economia della Germania potrebbe essere grave”.
A subire in maniera maggiore il contraccolpo del rallentamento tedesco sono le cosiddette «Mittelstand», le aziende di piccole e medie dimensioni, che costituiscono il 99% del tessuto imprenditoriale tedesco, occupano il 61% della forza lavoro del paese e rappresentano il 34% del fatturato totale delle imprese, secondo i dati di Destatis. Sono proprio queste aziende che, per la natura stessa della loro limitata composizione, risultano essere più vulnerabili di fronte ai rischi portati dal calo delle esportazioni.
“L’economia tedesca è molto più grande della Germania e per questo è fondamentale guardare con grande attenzione a quanto sta succedendo a Berlino: un’ulteriore flessione potrebbe avere una ricaduta molto pesante su tutta l’UE. La Germania è sfuggita nel 2018 a una recessione tecnica con il minimo margine possibile - chiude Marialaura Pompilio dalla sede Geneve Invest - ma c’è un aspetto positivo. I dati di oggi sono così inattesi e negativi che è difficile immaginare un peggioramento. I fondamentali economici rimangono solidi e da questo momento le possibilità di un rimbalzo, seppur graduale, sembrano più alte rispetto all’ipotesi di un ulteriore calo”.
© RIPRODUZIONE RISERVATA