L’impatto della nomina a presidente del gruppo ECR per Giorgia Meloni sugli equilibri del centrodestra.
Il risultato a livello personale che la Meloni ha ottenuto con la nomina a presidente del gruppo ECR, ottenuta anche grazie all’abile lavorio diplomatico del capodelegazione di Fdi al Parlamento europeo Carlo Fidanza, rappresenta un passo avanti verso la consacrazione della sua leadership non solo più a livello nazionale e potrebbe ora avere ripercussioni anche sulla infinita querelle fra chi dovrebbe guidare il centrodestra.
I conservatori europei di cui fanno parte tutti i paesi del blocco di Visegrad (tranne Orban che è nel PPE), il Partito conservatore britannico e partiti come lo spagnolo Vox e il polacco Diritto e Giustizia (il partito del presidente Andrzej Duda) sono infatti un partito che si colloca in una posizione intermedia fra il PPE e l’ala radicale estrema di Identità e democrazia a cui aderisce la Lega. Attualmente può contare nel Parlamento europeo su 62 deputati, compresi gli esponenti del Movimento Politico Cristiano d’Europa che ha aderito al gruppo.
La scelta della Meloni, giovane e rampante leader, vuole forse dare un segnale su quale sarà la direzione del partito nei prossimi mesi, in cui l’Europa dovrà prendere decisioni fondamentali per il suo futuro e per quello della nazioni che ne fanno parte.
È perciò quasi naturale che questo fatto ponga anche una questione all’interno della Lega in merito alla propria linea da seguire in politica estera, dal momento che fino ad ora il partito ha avuto un atteggiamento a tratti contraddittorio. Sotto la guida del vero sherpa della diplomazia del partito, Giancarlo Giorgetti, ormai stufo delle posizioni troppe estreme del gruppo in Europa, si parla con insistenza, in questi giorni, di un cambio a Starsburgo verso i più moderati del PPE (sempre che questi siano d’accordo).
Ora la nomina della Meloni non può che determinare una probabile accelerazione di questo processo. È la prima volta, infatti, che una donna guida il partito, ma è anche soprattutto la prima volta che un politico italiano è alla guida di un grande partito europeo.
Questo fatto sembra rafforzare la tesi del giornale britannico The Times che ad inizio anno inserì proprio Giorgia Meloni fra le persone più influenti del 2020, cosa che allora fece sorridere più d’uno.
Con questa importante elezione, la Meloni può mettere nella sua bacheca un altro record della sua lunga carriera politica, che ora comincia ad assumere anche quella autorevolezza a livello internazionale, da sempre tallone d’Achille per molti politici nostrani, Salvini compreso.
Già fece abbastanza sensazione il fatto che lei fosse stata l’unica politica italiana ad essere invitata nello scorso Gennaio alla più importante reunion repubblicana negli Usa, alla presenza del presidente Donald Trump. Insomma, sembra che la leader di Fdi abbia iniziato quel percorso di accreditamento a livello internazionale che, come si sa, è elemento che sicuramente aiuta chi ha aspirazioni politiche di un certo rilievo.
Ed è su questo che potrebbe nascere uno scontro con il leader leghista che invece, questa autorevolezza internazionale ancora stenta a trovarla. Non è un caso se Giorgetti, che annovera conoscenze nelle alte sfere dell’establishment internazionale, stia da mesi facendo un lavorio sotterraneo per cercare di introdurre Matteo Salvini nei “salotti” che contano della politica internazionale.
La svolta “moderata” della Lega, sia in Europa che a livello interno, si spiega molto probabilmente con questo tentativo del vice segretario leghista di rendere il partito e il suo leader più credibili a livello internazionale in un ottica di possibile futura premiership.
Ma la Meloni sembra anche qui partire avvantaggiata sia per meriti suoi che del partito. Il lavoro di Fdi in Europa, infatti, portato avanti da una sparuta ma assai combattiva truppa di europarlamentari, ha al suo attivo già alcuni importanti successi per quanto riguarda le politiche europee di aiuti.
Gli europarlamentari meloniani sembrano muoversi assai meglio nei corridoi di Bruxelles della più folta compagine leghista, che commette ancora gravi ingenuità, come quella di non votare la risoluzione contro Lukashenko, che ha letteralmente mandato su tutte le furie Giorgetti. Da tempo la linea politica estera di Fdi è chiara ed inequivocabile e non ondivaga come quella leghista o quella dei cinque stelle. La fedeltà all’atlantismo e agli Usa è fuori discussione da sempre, così come una certa diffidenza verso la Cina e la Russia di Putin. E questa coerenza prosegue anche in politca estera, ed evidentemente è premiante.
Questa nomina arrivata forse un po’ a sorpresa rafforza il ruolo non solo del partito, che può anche annoverare Raffaele Fitto come vicepresidente del gruppo, ma anche del paese a livello europeo ed internazionale, in un momento assai delicato, considerando che proprio in queste ore a Bruxelle, si sta discutendo di Recovery Fund.
Resta da vedere l’incognita sul come la nomina della Meloni potrà invece influire sugli equilibri all’interno del centrodestra, già indeboliti dal risultato delle urne del 20 e 21 Settembre scorsi. La Meloni dopo la vittoria nelle Marche e adesso questo riconoscimento internazionale sembra sicuramente uscirne rafforzata nella sua leadership ai danni invece di un Salvini indebolito dai guai giudiziari e dalle sconfitte elettorali, che lo pongono forse in difficoltà anche all’interno del suo stesso partito che, come sostengono molti, non pare essere più cosi graniticamente fedele alla suo segretario, come qualche mese fa.
La guerra frontale di Matteo Salvini e la Lega sia in patria che in Europa sembra avere perso moltao della sua spinta propulsiva, occorre perciò un cambio di passo. Le regionali rischiano di cristallizzare le posizioni del governo fino a fine legislatura. E questi due anni che ci separano dalle urne, potrebbero vedere un Lega verso posizioni più moderate e toni più morbidi, per evitare di arrivare alle urne col fiato corto e con una pimpante e fresca Giorgia Meloni, pronta invece a prendersi lo scettro di leader della coalizione.
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