La Cina sta pensando di bloccare le esportazioni di terre rare e delle tecnologie utilizzate per la loro raffinazione: una questione di sicurezza nazionale, affermano fonti vince al Governo di Xi Jinping.
La Cina continua a giocare su più fronti la sua guerra commerciale: dopo i dazi sulle esportazioni australiane e il continuo braccio di ferro con l’amministrazione Trump – significativa anche la stretta antitrust sulle big tech nazionali – il Governo di Pechino sta pensando di bloccare l’export delle terre rare e delle tecnologie impiegate per la loro raffinazione.
Dietro all’ultima mossa della nomenclatura politica di Xi Jinping i crescenti timori circa la sicurezza nazionale: non a caso, nel mirino sono finiti soprattutto gli Stati Uniti, la cui produzione militare – e non solo - dipende dai preziosi elementi chimici in mano al Dragone.
Cina, la guerra commerciale passa per le terre rare
Il petrolio è stato a lungo uno dei principali snodi geopolitici, campo di battaglia in cui si misuravano i rapporti di forza tra le prime economie mondiali. Ora, a finire sotto i riflettori sono invece le terre rare, termine con il quale si indicano elementi chimici che vengono estratti da alcuni minerali, dal cerio al tulio.
Terre rare come il lantanio, il terbio, il lutezio o il nodimio vengono ampiamente utilizzate dall’industria militare, nelle telecomunicazioni e nelle rinnovabili, ma anche dal ramo green dell’automotive, in costante espansione. Insomma, un grimaldello politico e commerciale nelle mani di Xi Jinping: il Dragone controlla infatti il 62% delle terre rare estratte e il 37% delle riserve mondiali, oltre a poter contare su una impareggiabile expertise tecnologica per la loro raffinazione.
Per questo, il blocco all’export – parziale, ed indirizzato esclusivamente verso Stati percepiti come una minaccia nazionale da Pechino - di questi elementi chimici e delle tecnologie utilizzate per la loro lavorazione potrebbe mettere in ginocchio segmenti cruciali dell’economia degli Stati Uniti e dei tanti competitor internazionali che dipendono dai rari elementi made in China.
I precedenti della Cina sulle terre rare
Finora, la Cina non aveva mai minacciato di bloccare l’export delle tecnologie di raffinazione. Capitolo a parte, invece, per le terre rare, storicamente un punto di forza della Cina nella dialettica politica, economica e commerciale con le controparti internazionali.
Del 2005 il braccio di ferro con il Giappone per il controllo delle isole Senkaku, arcipelago situato nel Mar cinese orientale e noto per i ricchi giacimenti petroliferi. Per risolvere il contenzioso il Governo di Pechino decise di brandire l’arma delle terre rare, con un taglio netto all’export che provocò un brusco rialzo della quotazione dei preziosi elementi chimici, +400%.
Poi, l’intervento degli Stati Uniti, dell’Unione europea e del Wto costrinsero la Cina a rimuovere il blocco, ma senza lieto fine: negli ultimi anni le limitazioni agli investimenti stranieri, le tasse (crescenti) sull’export e i tetti alla produzione hanno continuato a rafforzare la stretta del Dragone sulle terre rare. Ed ora, alle porte, un’altra escalation.
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