I magnifici risultati vantati dal governo sembrerebbero più presunti che reali. Eppure lo stesso continua a millantarli come grandi successi.
In questi giorni abbiamo sentito parlare, ancora una volta, di grandi risultati del governo per una crescita trimestrale del PIL allo 0,3%.
L’esecutivo a guida Matteo Renzi non è nuovo a questo genere di uscite. Infatti sono ormai più di due anni, da poco dopo l’insediamento del febbraio 2014, che si sentono propagandare i munifici risultati raggiunti, dei quali, però, non si vedono gli effetti sull’economia reale - tanto da far ritenere che gli stessi siano più il frutto proprio della propaganda governativa e dei media a sua disposizione, piuttosto che della realtà.
Visto quanto sostenuto dal governo ci sembra d’uopo valutare alcuni dei risultati raggiunti dal governo a circa due anni e mezzo dalla sua nomina. E per farlo partiamo proprio dal dato che ha fatto “scalpore” in questi giorni e che riporta una crescita del PIL nel terzo trimestre del 2016 dello 0,3%.
Il governo Renzi e la crescita del PIL 2016
Andamento del PIL nei primi tre trimestri del 2016
Dei 23 paesi e aree (visto che si valutano anche Unione Europea ed Eurozona) presi in considerazione, nei primi tre trimestri del 2016, l’Italia cresce meno di tutti tranne che della Lettonia.
Cresciamo meno dell’Unione Europea, meno dell’Eurozona, meno della Grecia e di tutti gli altri. Certo, cresciamo, ma ci sembra che occupare il 22° posto nella crescita,sui 23 presi in considerazione e con una crescita da prefisso telefonico sia ben lungi dal poter essere detto un grande risultato.
Crescita: con Renzi nulla cambia (anzi)
Tasso di crescita del PIL (trimestrale) italiano (linea continua azzurra, scala di sinistra); tasso di crescita annuale del PIL italiano (linea tratteggiata nera, scala di destra)
Se guariamo alla crescita del PIL, partendo dal 2010 (per non andare troppo indietro) vediamo che, proprio nel 2010, la crescita era più sostenuta che ora. Nel 2011 entrambi i tassi di crescita crollano e ricominciano a salire tra il 2012 ed il 2013, per assestarsi e stabilizzarsi, ad una crescita rasente lo zero o da prefisso telefonico, nel 2014, 2015 e anche 2016. Quindi, anche questo conferma che con l’arrivo di Renzi, ad inizio 2014, non c’è stata nessuna ripresa apprezzabile; anzi, se vogliamo guardarci bene, il trend del 2013 era migliore di quello degli anni successivi targati Renzi.
324 miliardi bruciati sul PIL in un anno
PIL dell’Italia in miliardi di dollari
Come già detto, Renzi sale in carica nel febbraio del 2014. In quell’anno il PIL (nominale) italiano è stato di 2.138,54 miliardi di dollari. L’anno successivo il PIL è stato di 1.814,76 miliardi di dollari. Questo significa che tra il 2014 ed il 2015 il PIL è diminuito di 323,78 miliardi di dollari. Nemmeno con Mario Monti eravamo arrivati a tanto. Ci sembra che questo dato parli da solo e non abbia bisogno di ulteriori commenti, salvo rimarcare che non sembrerebbe un successo.
Padoan: investimenti in ripresa. Ma la linea è piatta
Il ministro dell’economia e delle finanze ha più di una volta sostenuto che c’era un’inversione di tendenza per quanto riguardava gli investimenti e che questo avrebbe spinto e consolidato la ripresa.
Investimenti fissi lordi in Italia in milioni di euro
L’inversione di tendenza del ministro Padoan è una linea praticamente piatta. Gli investimenti crollano nel 2011, 2012 e 2013, finendo la loro corsa al ribasso nel 2014.
In questo caso, se guardiamo agli anni precedenti, possiamo dire che almeno si è fermata “l’emorragia”, ma non sembra si possa parlare di una inversione di tendenza tale da spingere e consolidare la ripresa. È un po’ come se fossimo arrivati sull’orlo del baratro e l’esecutivo, invece che spingerci nel baratro, abbia deciso di farci camminare sul bordo dello stesso; con tutti i rischi che ciò comporta. Tante grazie per non averci spinto nel baratro (e ci mancherebbe!), ma i successi sono un’altra cosa.
Governo Renzi e i risultati nel mondo del lavoro: ma a quale prezzo?
Anche l’aumento dell’occupazione è stato un grande successo rivendicato dall’esecutivo con il ministro del lavoro G. Poletti (noto per la famosa teoria giuslavorista del “piatto di tortellini”). Ricordiamo che per rilanciare il mercato del lavoro si è fatto strame dello Statuto dei lavoratori e si è cancellato l’art. 18, che tutelava i lavoratori contro il licenziamento senza giusta causa e giustificato motivo. È stata pertanto introdotta nel sistema un’ulteriore dose di flessibilità che si è risolta, solo ed esclusivamente, nella precarizzazione del rapporto di lavoro e nel ribasso delle tutele. E quali sono, al momento, i risultati?!
Tasso di disoccupazione in Italia (linea continua azzurra scala di sinistra), tasso di disoccupazione giovanile in Italia (linea tratteggiata nera, scala di destra)
In questo caso le cose non sembrerebbero così pessime. Infatti la disoccupazione sale dal 2010 fino al 2014 e poi si stabilizza per cominciare a scendere leggermente proprio dal 2014. Ma guardando meglio, si può notare che la disoccupazione generale, al 12,8% ad inizio 2014, è attualmente a circa 11,7%. Mentre la disoccupazione giovanile passa da circa il 43% di gennaio 2014, all’attuale 39%.
Quindi la disoccupazione generale è scesa di poco più di un punto percentuale, quella giovanile di quattro. Ricordiamo inoltre che il governo ha stabilito, nel documento di programmazione economico finanziaria (DEF), un NAIRU (Non-Accelerating Inflation Rate of Unemployment), cioè un tasso di disoccupazione a inflazione stabile tra l’11% ed il 12% e non farà, pertanto, scendere la disoccupazione al di sotto di questi livelli.
Possiamo dire che, almeno per l’occupazione, il risultato di fermare la perdita dei posti di lavoro è stato raggiunto, ma a quale prezzo? Il governo ha fatto a pezzi le tutele nel mondo del lavoro, introducendo pesantissimi elementi di precarietà e praticamente cancellando il “posto fisso”, ed i risultati sono una scarsa diminuzione della disoccupazione generale e giovanile.
Per essere chiari: avere una disoccupazione generale ancora quasi al 12%, con quella giovanile al 39%, non può essere considerato un successo. Perciò, se valutiamo i risultati raggiunti in confronto agli elementi di precarietà introdotti (sacrifici sempre posti in capo ai lavoratori, la parte debole del rapporto di lavoro) nel sistema, i risultati non sono, nemmeno in questo caso, quelli di un successo.
Infine, se guardiamo al rapporto debito/PIL ed allo stock del debito, notiamo che il primo non è cresciuto molto (ma è necessario aspettare il dato del 2016), mentre il secondo è passato da 2.136 miliardi di euro di inizio 2014, agli attuali 2.252. Altri parametri confermano, ancora, che con Renzi la situazione non sembrerebbe così peggiorata, ma nemmeno migliorata e, tutt’al più e nel migliore dei casi, rimasta stabile. Nulla che possa testimoniare a favore di una seria ripresa e di un suo consolidamento.
Quindi l’esecutivo targato Matteo Renzi non ha ottenuto nessun risultato di particolare rilievo, ma sembrerebbe essersi limitato a stabilizzare la situazione: stabilmente in crisi e occupati a tratti (rari e a tempo determinato). È un po’ come se fossimo arrivati sul fondo del barile ed invece che raschiarlo, bucarlo e cominciare a scavare la terra sottostante, ci fossimo ancorati lì, sul fondo.
Ecco: ancorarsi al fondo di un barile può essere considerato un successo in relazione alla situazione peggiore del raschiarlo, bucarlo e cominciare a scavare; ma il fondo del barile, dove Renzi sembrerebbe averci ancorato, non può essere millantato e tenuto in conto come un grande successo!
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