Immuni al Covid, chi sono: c’è chi non prende il virus anche senza vaccino

Chiara Esposito

28 Ottobre 2021 - 22:20

Covid: esistono pazienti super-resistenti al virus. Ecco gli studi su chi non si ammala e le possibili spiegazioni di questo fenomeno tanto singolare.

Immuni al Covid, chi sono: c’è chi non prende il virus anche senza vaccino

C’è chi non si ammala di Covid, ma gli studiosi non sanno ancora dire perché. Il fenomeno dell’immunità totale, seppur già noto nella storia della medicina moderna, è ancora un grande punto interrogativo per la scienza.

Le infezioni da Sars-Cov-2, sin dagli albori della pandemia, dimostravano un’enorme variabilità interindividuale ovvero una risposta al virus differente da individuo a individuo. L’esistenza di pazienti completamente resistenti al patogeno però è in grado di portare all’estremo questa caratteristica intrinseca.

Si parte così a studiare il fenomeno e le prime ricerche sono quelle condotte dall’Università di Melbourne e dalla Fondazione per la ricerca biomedica dell’Accademia di Atene. Gli esiti delle indagini preliminari sono oggi pubblicati sulla rivista scientifica Nature Immunology.

Immunità Covid: un fattore di rarità ma non di unicità

L’immunità al Covid è solo un esempio dell’impermeabilità immunitaria propria di alcuni soggetti della specie umana. In qualsiasi pandemia globale mai verificatasi è stata registrata una forte pressione selettiva. D’altro canto, come conferma Fausto Baldanti, esperto del Laboratorio di Virologia Molecolare del policlinico San Matteo di Pavia, in tutti i casi di malattie infettive c’è una quota di persone che sono naturalmente resistenti.

A tal proposito abbiamo documentazione storica di pazienti resistenti a vaiolo ed ebola nonostante entrambe abbiamo un tasso di mortalità altissimo: rispettivamente pari all’80 e al 90%. Nessuna malattia, proprio per ciò che ci insegna la scienza, può avere quindi un tasso pari al 100% e lo scarto esistente indica il fattore di adattabilità della specie.

Basi scientifiche degli studi

Una volta acquisita questa consapevolezza è importante focalizzarsi sulle ricerche attualmente in corso. La base di partenza in questo caso sarà stata rappresentata dall’Hiv-1 e dagli studi ormai conclusi sui soggetti che non la contraggono.

In quel caso i ricercatori specializzati infatti avevano scoperto un meccanismo di diminuzione dei recettori delle chemochine DARC (immunideficienza genetica) che conferisce resistenza al Plasmodium vivax (un parassita unicellulare responsabile anche della malaria ricorrente). Analizzando poi la risposta di alcune proteine e dell’enzima FUT2 si era giunti a definire la base biologica e genetica della resistenza all’HIV stesso.

Visti alcuni fattori di somiglianza tra il comportamento di questo patogeno e quello del Coronavirus, analogo sarà il percorso d’indagine sulla genesi della resistenza da Sars-Cov-2.

Identikit del paziente immune: caratteristiche naturali

Sebbene non siamo ancora a conoscenza delle cause genetiche e immunologiche di questa resistenza all’infezione, ci sono dei fattori naturali che secondo molti prevengono il contagio in maniera determinante.

Un esempio concreto è rappresentato dalla presenza di un’immunità preesistente, crociata da infezioni similari. Ad oggi si stima che il 25-30% delle persone che non prendono il Covid abbia una risposta T-Cellulare residuale provocata da un’infezione parente del Covid stesso.

Esistono infatti quattro ceppi di Corona che provocano infezione Beta Coronavirus nell’uomo: di questi, due danno una risposta crociata nei confronti della Sars. In pratica le probabilità si alzano in chi ha contratto un Beta Coronavirus umano che si chiama HKU1.

Ulteriori ipotesi sono l’alta densità di recettori Ace2 correlata ad una bassa densità di Trmpss (proteine) e l’anemia (la ridotta quantità di globuli rossi). Entrambe queste alterazioni genetiche si pensa possano in qualche modo proteggere dalle infezioni. Sulle modalità in cui tali meccanismi operano e altre possibili caratteristiche dei soggetti immuni dovranno però essere condotti ulteriori studi.

Difficoltà nella ricerca: numeri troppo bassi

Difficile però individuare i soggetti da analizzare. Prima del contatto diretto con la malattia è impossibile accorgersi di essere resistenti al Covid così come dimostrato dall’esperienza del ricercatore Baldanti. L’uomo solo tre anni dopo si è reso conto di aver già incontrato un Coronavirus ed essere risultato impermeabile.

Secondo alcune stime inoltre il bacino di utenti da monitorare sarebbe anche così ristretto da sfavorire un’analisi e un monitoraggio del tutto efficace. Sebbene sia in atto una strategia per il reclutamento e l’analisi genetica di questi individui è realistico pensare che si procederà a rilento ancora per molto. I super-protetti in media sono poco meno del 10% della popolazione.

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