L’Italia ha visto un’accelerazione nella richiesta di digitalizzazione e di competenze legate a questa, soprattutto con la pandemia. Ne abbiamo parlato con Stefano Venturi.
La pandemia da Covid-19 ha indubbiamente accelerato la necessità di digitalizzazione in Italia e, d’altra parte, la situazione di partenza non era delle migliori: siamo in ritardo sulle competenze digitali rispetto all’Ue. Una situazione che potrebbe cambiare con i giusti investimenti. Il piano di investimenti e riforme previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ha, infatti, come obiettivo quello di mettere l’Italia nel gruppo di testa in Europa entro il 2026.
Ne abbiamo parlato con Stefano Venturi, Presidente Steering Committee Competenze e Capitale Umano, Confindustria digitale.
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Il 2020 è stato un anno “spartiacque” sotto molti punti vista ma soprattutto un banco di prova per l’educazione digitale della popolazione italiana: qual è il bilancio a oggi in tal senso?
La pandemia ha sicuramente accelerato i processi di digitalizzazione nel nostro Paese, ma la condizione da cui partiamo resta di profondo ritardo e sulle competenze il nostro Paese presenta diverse aree di miglioramento. Una preoccupazione sostenuta anche dai dati Desi 2020, che ci vede quale ultimo Paese in Ue per competenze digitali: solo il 42% delle persone di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base (58% nell’UE) e solo il 22% dispone di competenze digitali superiori a quelle di base (33% nell’UE).
Sebbene sia aumentata, raggiungendo il 2,8% dell’occupazione totale, la percentuale di specialisti TIC in Italia è ancora al di sotto della media UE (3,9%) e solo l’1% dei laureati italiani è in possesso di una laurea in discipline TIC (il dato più basso nell’UE), mentre gli specialisti TIC di sesso femminile rappresentano l’1% del numero totale di lavoratrici (cifra leggermente inferiore alla media UE dell’1,4%).
Queste cifre, che rappresentano lo specchio dell’attuale situazione, disegnano uno scenario sul quale doversi impegnare. Scontiamo il ritardo che abbiamo accumulato in anni di immobilismo sul tema della digitalizzazione. L’importante piano di investimenti e riforme previsto dal Piano nazionale di ripresa e resilienza ha come obiettivo quello di mettere l’Italia nel gruppo di testa in Europa entro il 2026. Non è affatto tardi, quindi, per inserire nel PNRR una strategia di sistema sulle competenze visto e considerato che, sul tema in questione, una strategia nazionale delle competenze digitali con relativo piano operativo è già stata pubblicata sul sito del Ministero dell’Innovazione, di cui Confindustria Digitale è membro del Comitato Tecnico Guida di Repubblica digitale – tale Strategia sarebbe in grado di assicurare una struttura coerente di azioni formative in sinergia con gli obiettivi indicati dal Piano.
Le competenze digitali rappresentano un vettore per la crescita economica e culturale del nostro Paese, ma ancora si vive una cesura molto netta in tal senso. Quali dovrebbero essere secondo Lei i programmi didattici e aziendali per ridurre sempre di più il digital divide?
Negli ultimi 18 mesi abbiamo assistito ad una forte accelerazione al bisogno di trasformazione digitale che, se da un lato ha sostenuto l’adozione del digitale in tutti i contesti lavorativi e di formazione, dall’altro ha messo in evidenza la mancanza di sufficienti professionalità ICT per far fare fronte alle richieste di innovazione di tutto il Paese, nonché una diffusa carenza di competenze per utilizzare al meglio il digitale da parte dei cittadini.
Cresce infatti la domanda di professioni dei laureati ICT per fronteggiare il progressivo aumento qualitativo della domanda di mercato: il fabbisogno complessivo di professionisti ICT del triennio 2016-18 si è attestato a circa 70.000 unità.
E si assiste alla crescita della domanda di nuovi profili tecnici, in particolare di quelli legati alle tecnologie dei big data, dell’intelligenza artificiale, dell’IoT, della robotica, del cloud-computing e della blockchain.
Le aziende in questo settore possono fare molto, contribuendo a sostenere i percorsi formativi abilitanti post-diploma, attraverso la relazione con le università o sponsorizzando master, con l’obiettivo di creare una partnership che dia indirizzo agli studi STEM in coerenza con il fabbisogno del mondo dell’industria, vero motore di innovazione del Paese.
È importante, in chiave di rilancio, rafforzare non solo gli strumenti di sostegno alla domanda di servizi e prodotti ICT e alle stesse imprese ICT, ma anche aumentare i percorsi educativi e formativi ICT di qualità, guardando alle competenze digitali come leva strategica di cambiamento.
“Capitale umano” è la definizione che trasforma il dipendente in risorsa umana nel senso più pieno del termine. Perché è importante investire su di esso?
Le competenze sono il cuore della trasformazione digitale e del rilancio del paese. Le competenze digitali - seppur con sensibilità differenti in funzione della professione - svolgono un ruolo sempre più abilitante per rispondere adeguatamente alle esigenze di competenze e conoscenze espresse dalle imprese.
In primis occorre superare le criticità legate all’efficacia della formazione, della transizione scuola-lavoro e delle attività di upskilling e reskilling. In un mondo che cambia occorrono conoscenze e abilità diverse rispetto al passato. In questo sforzo le nuove tecnologie, la digitalizzazione e le risorse dedicate dal PNRR, possono favorire lo sviluppo di nuove competenze e modelli lavorativi. Il capitale umano rappresenta senza ombra di dubbio una delle chiavi per il rilancio economico e sociale del nostro Paese.
Il rafforzamento delle competenze digitali della popolazione rappresenta una leva trasversale all’intero PNRR. Infatti, l’apprendimento di nuove competenze (reskilling) e il miglioramento di quelle esistenti (upskilling) rappresentano una delle iniziative “bandiera” del Next Generation EU.. Serve un cambio di rotta per tornare a crescere. Formazione continua, orientamento scuola-lavoro, reskilling e upskilling dei lavoratori sia pubblici che privati sono elementi indispensabili per rinascere. In sintesi, bisogna attivare il cambiamento culturale del lavoro e per questi motivi le risorse indicate nel PNRR sono fondamentali per il raggiungimento di questi obiettivi.
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