Italia, BCE: occupazione ferma da inizio crisi, dati migliori persino in Grecia

Mariangela Celiberti

17 Dicembre 2015 - 14:41

Il bollettino economico della Bce sottolinea come l’occupazione in Italia sia ferma da inizio crisi, risultando uno dei dati peggiori dell’ Eurozona.

Italia, BCE: occupazione ferma da inizio crisi, dati migliori persino in Grecia

Nonostante ci sia una ripresa generalizzata nell’Eurozona, seppur con costanti «rischi al ribasso», la Bce fa sapere che i dati sull’occupazione in Italia rimangono quasi invariati, in netta controtendenza rispetto ad altri paesi europei e a economie più piccole. Non solo la Germania, ma anche la Spagna, il Portogallo, l’Irlanda e persino la Grecia presentano dati migliori riguardanti l’occupazione rispetto al nostro paese.

«Due grandi economie dell’area dell’euro, Germania e Spagna, hanno contribuito per quasi due terzi all’incremento complessivo del numero di occupati nell’area dal secondo trimestre del 2013, con apporti pari rispettivamente a 592.000 e 724.000 unità»

si legge sul bollettino della Bce.

«Questo risultato non dipende esclusivamente dalle dimensioni dei due Paesi; si consideri che nello stesso periodo i livelli occupazionali di Francia e Italia sono aumentati, nell’ordine, di appena 190.000 e 127.000 unità, pari all’incirca al 15% del rialzo per l’insieme dell’area dell’euro.»

La Bce prosegue sottolineando che

«il recupero dell’occupazione nell’area dell’euro è stato trainato, oltre che dalla Spagna, dal marcato aumento del numero di occupati in Irlanda, Grecia e Portogallo. Nell’insieme, queste tre economie hanno esercitato un impatto del 15% circa sulla crescita del numero di occupati nell’area dell’euro dal secondo trimestre del 2013»

Secondo gli economisti questi dati sottolineano come l’impatto della crisi nel nostro paese continui a riflettersi sul mercato del lavoro. Inoltre l’aumento degli occupati in Italia, dato già più modesto se confrontato con altri paesi europei, «è dipeso per il 63 per cento da posizioni a tempo parziale».

L’effetto dei rifugiati sulla spesa pubblica

A incidere sulla posizione di bilancio di alcuni paesi anche l’afflusso di rifugiati, secondo quanto previsto dalla Bce: «le stime dei costi potenziali necessari sono state pubblicate per alcuni Paesi nell’ambito dei documenti programmatici di bilancio per il 2016, ma sono soggette ad elevata incertezza». I numeri vanno da uno 0,35% del Pil in Austria, allo 0,2% in Italia e Germania fino allo 0,1% in Belgio e Slovenia.

I costi immediati per le finanze pubbliche dovrebbero essere maggiori nei paesi interessati dal fenomeno, risultando di minor impatto in quei paesi in cui i profughi semplicemente transitano verso la loro destinazione finale. I costi per i conti pubblici, spiega la Bce, derivano soprattutto da trasferimenti in contanti ai rifugiati e dalla spesa per i consumi delle amministrazioni pubbliche, per i salari e le abitazioni.

Il futuro dell’Eurozona secondo la Bce

Gli ultimi indicatori «segnalano una crescita moderata del Pil nei prossimi mesi» ed è prevista una ripresa dell’attività economica, grazie a una serie di fattori a sostegno della domanda interna. Invariate le proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro: crescita dell’1,5% nel 2015, dell’1,7% nel 2016 e dell’1,9% nel 2017.

Le misure di politica monetaria, «che stanno allentando le condizioni delle erogazioni del credito» e il basso prezzo del petrolio, che sta facendo riacquistare a famiglie e imprese il potere d’acquisto sono fattori positivi, nonostante la ripresa economica risenta comunque «delle deboli prospettive di crescita nei mercati emergenti e dei moderati scambi internazionali». Per quanto riguarda l’inflazione, la Bce sottolinea di avere «volontà e capacità di agire ancora, se necessario», per far salire i prezzi verso il +2% del suo mandato. Prevede comunque un «significativo aumento» nei prossimi due anni.

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