Quanto gas ha l’Italia e che possibilità concrete ci sono di estrarre dai giacimenti nazionali? Nello sforzo di eliminare l’energia russa, il Paese cerca soluzioni: alcune risposte dal prof. Alimonti.
L’Italia in cerca di gas non russo sta tessendo una rete fitta di relazioni con partner energetici vecchi e nuovi, oltre a sforzarsi di trovare soluzioni concrete per ridurre e, obiettivo ultimo, eliminare, la dipendenza da Mosca.
In questa vera e propria corsa dalle elevate ambizioni, ovvero ridisegnare tutta la politica o geopolitica di rifornimento energetico del Paese, stanno emergendo vari temi. Quali, ad esempio, quello di sfruttare maggiormente giacimenti nazionali per una produzione interna: ma quanto è davvero realistica questa ipotesi?
In termini più chiari: quanto gas possiede davvero l’Italia e qual è la sua realistica capacità di stoccaggio? Avremo energia a sufficienza per l’inverno considerando i venti ostili che soffiano da Mosca?
Per rispondere a questi interrogativi, con uno sguardo anche alla transizione energetica, Money.it ha intervistato il prof. Claudio Alimonti, del dipartimento Ingegneria Chimica Materiali e Ambiente dell’Università La Sapienza di Roma, esperto in idrocarburi, geotermia, fonti energetiche.
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Quanto gas c’è in Italia e quali possibilità di estrazione? Le risposte del prof. Alimonti
“Oggi l’incremento di produzione nazionale, sebbene possibile, è molto limitato perché siamo fermi da 6-7 anni con gli sviluppi e quindi i campi che stanno producendo sono ormai al termine, hanno capacità limitate, cosiddette marginali”: così ha esordito il professore alla richiesta di dare una risposta sulla concreta possibilità dell’Italia di erogare più gas dai propri giacimenti.
Il ragionamento alla base è chiaro: la possibilità di avere nuove produzioni nazionali si dovrebbe tradurre nello sfruttamento di campi con gas che sono stati scoperti, ma non ancora utilizzati, poiché sottoposti a vincoli.
Il professore si riferisce specialmente all’area del Nord Adriatico (Chioggia-Venezia) dove effettivamente c’è molto gas, ma è per la maggior parte vincolato.
Tali limiti di natura soprattutto ambientale sono stati inoltre ribaditi e confermati dal Pitesai (Piano della transizione energetica sostenibile delle aree idonee), documento fortemente voluto ed elaborato dal ministero della Transizione Energetica che mappa siti idonei e non idonei “all’attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi.”
Un ostacolo non di poco conto alla possibilità di maggiore produzione nazionale, che avvalora ancora di più la tesi per la quale estrarre questa fonte dalle riserve italiane e in tempi brevi non è realistico. Per maggiore chiarezza, riportiamo la mappa elaborata dal Pitesai, nella quale è evidente la non idoneità di molte aree nel Nord Adratico, per esempio, (in verde zone idonee, in grigio zone non idonee):
Inoltre, c’è un’altra credenza da sfatare sulla nostra capacità di indipendenza energetica, che il professore ha ben spiegato:
“Si dice che abbiamo molto gas nel Paese, ma ne consumiamo una enorme quantità e la nostra produzione non è mai autosufficiente. Negli anni 90 abbiamo raggiunto il picco di produzione nazionale, che poi è andata sempre declinando. Anche volendo aggiungere più estrazione, la produzione comunque rimarrebbe limitata nel tempo perché per quanto le riserve sono ampie, non coprono oltre i 10 anni rispetto ai consumi attuali.”
Non solo, prima di 5 anni non è realistico che un giacimento riesca a mettere il gas in rete in Italia, poiché occorre realizzare l’infrastruttura che collega piattaforme off-shore (in alto mare, dove sono la maggior parte delle riserve) alla terraferma. Senza contare, ha aggiunto Alimonti, che nel nostro Paese attualmente a estrarre gas ci sono piccole compagnie. Eni, per esempio, da anni ha dismesso gli investimenti in ambito nazionale preferendo settore estero più redditizio.
Nel medio periodo, quindi, forse si potrebbe prospettare una maggiore produzione di gas nazionale, ma soltanto con una scelta politica a monte, che congeli gli aspetti dei vincoli ambientali legati anche alla transizione ecologica.
L’Italia ha un problema di stoccaggio di gas?
Lo stoccaggio italiano non sarebbe un problema, in linea teorica, per il fatto che il nostro Paese ha una delle maggiori capacità di immagazinaggio d’Europa.
L’Italia, ha affermato il prof. Alimonti, ha iniziato a stoccare gas dagli anni ’60 utilizzando esclusivamente, come fa oggi, giacimenti esauriti. Inoltre, l’Italia ha beneficiato anche dalla spinto ricevuta circa 10 anni fa affinché diventasse un hub europeo del gas.
Il nostro Paese è quindi fuori da ogni rischio di rimanere senza gas? Non proprio e il professore ha spiegato perché. Innanzitutto non c’è attualmente la capacità di aumentare gli spazi di stoccaggio, almeno in valori importanti, perché tutti i migliori giacimenti sono stati già trasformati in magazzini di gas.
E poi riuscire a riempire i siti di stoccaggio significa andare incontro alle regole del libero mercato. Le aste per il gas destinato a essere immagazzinato vanno deserte per prezzi ora elevati e perché il guadagno che le società di stoccaggio possono trarre è limitato, se non supportate da specifici incentivi.
La soluzione? Il professore Alimonti ha introdotto un tema interessante, attuale e complesso: lavorare per la riduzione dei consumi di gas, che potrebbe rendere i nostri stoccaggi davvero rispondenti ai bisogni.
Il gas come ponte per la transizione: le soluzioni
Il professore Alimonti ha ribadito che il gas produce CO2 minore delle altre fonti fossili e per questo è considerato un ponte verso la transizione.
Ma come sfruttare questo “tempo ponte”? E come equilibrare meglio il mix energetico, affinché non pesi troppo su petrolio e gas? La domanda non è semplice, a detta dello stesso esperto.
Partendo dal presupposto che l’Italia ha dipendenza da combustibili fossili del 90%, come diversificare?
Il prof. Alimonti ha parlato di idrogeno, sul quale molto si spinge anche il Pnrr:
“in ambito italiano siamo ancora in via di sviluppo perché non abbiamo una rete infrastrutturale per trasportare idrogeno. Se in 2-3 anni si portano a termine i progetti di investimento importanti del Pnrr significa poter avere idrogeno da portare alla rete nazionale. Ma questo non si potrà fare ancora con il fotovoltaico, occorrerà utilizzare il gas naturale come
gas naturale come fonte di transizione per produrre idrogeno.”
Introdurre fonti energetiche alternative, in linea realistica, potrebbe significare anche insistere, per esempio, sulla geotermia, ovvero su altre fonti di calore. Il professore ha affermato che ci sono già realizzazioni in questo ambito. Per esempio, Milano ha investito in modo serio su tale fonte e ora il Palazzo della Regione è alimentato prendendo il calore dal sottosuolo.
Questo è uno degli elementi importanti sottolineati: per ridurre gas, occorre iniziare a sostituirlo gradualmente con altre fonti. Nel tempo realistico di 5 anni, si può iniziare a farlo, così come investire sull’alternativa alle centrali termoelettriche rappresentata dal fotovoltaico.
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