Janet Yellen, la “mente” delle tasse di Biden

Glauco Maggi

15 Dicembre 2020 - 08:50

Che cosa rappresenta la nomina di Janet Yellen a ministro del Tesoro nella prossima amministrazione Biden.

Janet Yellen, la “mente” delle tasse di Biden

Significativo, e rivelatore, è che la Yellen, ex presidente della Federal Reserve, ha da tempo dichiarato la sua opposizione al Tax Cuts & Jobs Act, noto anche come “i tagli fiscali di Trump" che hanno ridotto dal 2018 l’imposta sui redditi delle società e delle persone fisiche.

Grover Norquist, fondatore e presidente del pensatoio conservatore ATR (Americans for Tax Reform), considerato l’Osservatorio più attento - e ostile - della fiscalità e delle sue conseguenze sull’economia americana e sul portafoglio delle imprese e delle famiglie, è partito proprio dalle parole della Yellen per rispondere alla mia domanda iniziale in un recente editoriale sul sito di Fox News. “La Yellen? Significa che le tasse sul reddito personale aumenteranno e i 401 K (i fondi pensionistici secondo il codice tributario USA NDR) scenderanno di valore”.

L’amministrazione Biden ha espresso l’intenzione di aumentare l’imposta sulle corporation, attualmente al 21%, un inasprimento certo nel caso in cui anche il Senato passerà sotto il controllo dei Democratici se vinceranno i due ballottaggi del 5 gennaio in Georgia. Ciò avrebbe un effetto negativo sui profitti delle società quotate che sono nei portafogli dei 401 K di milioni di lavoratori.

La futura ministra dell’economia è peraltro, non da oggi, una paladina delle tasse alte. In un editoriale sul Washington Post del 2018 aveva sostenuto che non c’era bisogno di alcuna riduzione delle tasse perché "l’economia era già vicina alla piena occupazione e non aveva bisogno di una spinta”. Trump l’aveva invece promessa nel suo programma, questa spinta, e i fatti gli hanno poi dato ragione. Dopo che i tagli alle tasse sono diventati legge nel dicembre 2017, il tasso di disoccupazione è sceso dal 4,1% al 3,5% appena prima della crisi del Covid 19. La disoccupazione afroamericana è scesa dal 6,7% al 5,8%, la disoccupazione ispanica dal 5,0% al 4,4%, e anche le donne hanno beneficiato come mai prima, scendendo al 3,3%. “Dal voto in Congresso del dicembre 2017 al febbraio 2020 sono stati creati 5.122.000 posti di lavoro. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro è passato dal 62,7% al 63,4%”, ricorda Norquist.

La politica anti-tasse dell’ex presidente sarà cancellata

Sono tanti i numeri che illustrano il successo della politica anti-tasse del presidente, approvata dal Congresso nel dicembre 2017. Il reddito familiare medio è aumentato nel 2019 di ben 4.440 dollari, pari al 6,8%, la più grande crescita salariale nella storia per un singolo anno. Una eventuale abrogazione della legge non potrebbe che avere un effetto paralizzante su questo trend positivo, naturale, di crescita di posti di lavoro e di redditi. Biden e la vice presidente eletta Kamala Harris hanno detto ripetutamente durante la campagna presidenziale del 2020 che elimineranno i tagli alle tasse di Trump il primo giorno che entreranno in carica.

Una cancellazione secca del regime fiscale attuale comporterebbe “un aumento delle tasse annuali di 2.000 dollari su una famiglia di quattro persone con reddito medio e un aumento delle tasse di 1.300 dollari su un genitore single con reddito medio con un figlio”, hanno calcolato al pensatoio ATR. L’abrogazione dei tagli fiscali avrebbe anche una conseguenza negativa su “Obamacare”: la legge sanitaria voluta da Obama prevedeva una tassa sul mandato individuale, abolita da Trump, che tornerebbe in vigore.

Ne sarebbero colpiti “cinque milioni di famiglie con un’imposta da 695 a 2.085 dollari. E il 75% di queste famiglie guadagna meno di 50.000 dollari all’anno, sempre secondo il pensatoio di Norquist. Il presidente eletto in arrivo, al posto della spinta alla vitalità economica offerta naturalmente dagli sgravi fiscali, propugna una crescita degli stipendi estranea allo sviluppo profittevole dei business privati ma basata sull’aumento forzoso del salario orario minimo attraverso una legge federale. E’ noto che ogni imposizione di un costo più alto su una merce ha l’effetto di ridurne il consumo. Nel caso del costo della forza lavoro, un incremento spingerà gli imprenditori ad una maggiore automazione, dove possibile, o a tagliare al minimo i dipendenti. O entrambe le cose.

L’economista Yellen queste cose le sa benissimo, ma è stata scelta per smantellare l’impianto anti-tasse di Trump e la gente ne pagherà le conseguenze. Infine, si può dare per scontata una crescita del costo della benzina e dell’energia che sarà proporzionale all’intensità e alla velocità della transizione da un’economia basata sul fossile ad un sistema “verde”, attualmente antieconomico e sovvenzionato dalle tasse. Aver scelto la Yellen ci dice infatti che Biden manterrà la sua promessa, o meglio minaccia, di imporre una tassa sull’energia.

Yellen è da molto tempo una dichiarata supporter di un balzello pari a 40 dollari la tonnellata che si traduce in un aumento di 40 centesimi del costo di un gallone di benzina alla pompa. Una tassa sull’energia fossile aumenterà anche il prezzo del gasolio per riscaldamento domestico, del gas naturale, e il costo di tutti i prodotti spediti ai negozi o nelle case tramite camion, aereo o treno. Una volta fissata per legge, “la tassa sul carbonio di Yellen” aumenta automaticamente ogni anno. Un aumento delle tasse ogni anno, con pilota automatico, senza bisogno di un voto del congresso. Una nuova via per convogliare a Washington la raccolta di tributi. Il sogno dei politici, conclude amaramente il suo sfogo Norquist, il missionario in crociata contro le tasse.

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